giovedì, Aprile 18, 2024

Campagna vaccinale Israele: tra hi tech e fortuna?

La rapidità della campagna vaccinale di Israele ha sorpreso tutti. Persino l’Europa. Ma come ci sono riusciti? E soprattutto perché da noi sarebbe stato impossibile? Incompatibilità di mentalità?

Quali i risultati della campagna vaccinale di Israele?

Una campagna vaccinale rapida e indolore quella di Israele. Avviata il 20 dicembre 2020, a febbraio aveva raggiunto quasi la metà della popolazione. Lo conferma lo studio del 5 febbraio pubblicato sulla rivista Nature da Yaniv Erlich, professore associato di informatica alla Columbia University nonché direttore scientifico di MyHeritage. Nella sua indagine, l’esperto analizzava la riduzione della carica virale negli individui vaccinati. “Nelle prime settimane, l’operazione si è concentrata sugli individui con più di 60 anni e sul personale medico“, ha spiegato Erlich. “Quindi, ha gradualmente incluso più gruppi di età. Al momento circa l’80% degli individui con più di 60 anni e il 40% della popolazione totale ha già ricevuto la prima iniezione”. Arnon Shahar, medico responsabile del Maccabi Healthcare Services, la task force israeliana, ha chiarito: “Da metà gennaio vediamo un calo del tasso di mortalità delle persone over 60 che si sono vaccinate“.

Da cosa dipende il suo successo?

Shahar aveva commentato così i dati del ministero della Salute: “Dopo sette giorni dal vaccino abbiamo visto un’efficacia del 93% contro lo sviluppo malattia, il 7% che si ammala, lo fa in forma più lieve rispetto al gruppo di controllo con chi non si è vaccinato”. Il successo? “Già a settembre le autorità sanitarie avevano pianificato le fasce di priorità” ha spiegato il professor Baroukh Assael, titolare della cattedra di pediatria all’Università di Milano e responsabile scientifico del Giornale della vaccinazione di Minerva Medica. Inoltre, Assael ha aggiunto: “Quando a novembre è arrivata la notizia incredibile che un vaccino era davvero stato scoperto, il governo israeliano non si è chiesto come partire, ha applicato il programma. Senza i gravi errori in corso qui in Italia”. Buone notizie allora. I vaccini sperimentali funzionano.

Diminuzione dei casi uguale vaccino?

Eppure, a febbraio i ricercatori non erano riusciti a correlare l’impatto della somministrazione “di massa” con la riduzione del numero dei casi. O comunque con la minore morbosità della malattia. Né tantomeno avevano dimostrato l’efficacia del vaccino nel mondo reale, perché non disponevano dei dati relativi a casi e ricoveri di individui vaccinati. Lo spiegava Dvir Aran, analista scientifico presso il Technion Israel Institute of Technology di Haifa. Tuttavia, il team era riuscito comunque a estrapolare utili “informazioni da dati disordinati” sulla base dei primi risultati raccolti dal Ministero della Salute. E provare che i vaccini stavano svolgendo la funzione per cui erano stati creati, nonostante in un primo momento le varianti facessero temere il contrario.


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Campagna vaccinale Israele: azzardo?

A pensarci bene, però, non era affatto scontato. Innanzitutto, non si sapeva se si sarebbero rivelati efficaci. Oltre all’incertezza se fossero dannosi per la salute. Dunque, un azzardo quello del piccolo paese ebraico? In parte ciò è vero. Del resto, non si deve dimenticare che la rapidità con la quale sono stati prodotti e distribuiti i vaccini anti Covid-19 non dava alcuna garanzia. In questo senso, almeno, Israele ha fatto da “cavia”. Incoscienza? Solo il tempo ce lo dirà. Intanto, il paese arabo sta tornando a una rinnovata normalità, mentre nel resto del mondo si parla di confinamento e coprifuoco. Eppure, alcune caratteristiche peculiari di Israele sembrano aver favorito il successo della sua campagna vaccinale. Molto di più che quella del Regno Unito, nonostante sia stato altrettanto propenso a iniziare le inoculazioni.

I fattori favorevoli

Tra i fattori che concorrono al successo della campagna vaccinale in Israele c’è sicuramente la disponibilità dei vaccini. Quello di Pfizer, in particolare. “Finora quasi il 90% delle persone di età pari o superiore a 60 anni nel paese ha ricevuto la prima dose del vaccino a due dosi di Pfizer“, spiegava Nature all’inizio di febbraio. E ancora. “Ora, i dati raccolti dal Ministero della Salute israeliano mostrano che c’è stato un calo del 41% delle infezioni da COVID-19 confermate in quella fascia di età e un calo del 31% dei ricoveri da metà gennaio all’inizio di febbraio“. Le stime si basavano sull’analisi di quasi un quarto di milione di infezioni. “In confronto, per le persone di età pari o inferiore a 59 anni, di cui poco più del 30% sono state vaccinate, i casi sono diminuiti solo del 12% e le ospedalizzazioni del 5% nello stesso periodo“.

Una campagna vaccinale hi tech in Israele

Ma se la disponibilità di vaccini da una parte e l’avvio tempestivo della campagna dall’altra (a ridosso dell’approvazione) hanno favorito questo risultato, di certo non sono stati gli unici fattori in gioco. Infatti, ad agevolare la campagna vaccinale di Israele sarebbe stata anche la digitalizzazione del paese. In questo senso ha aiutato a programmare le somministrazioni. Evitando sprechi e lungaggini. Quindi, l’efficienza ha richiesto anche un certo grado di organizzazione. In questo senso, improntare la campagna vaccinale su un processo densamente digitalizzato ha permesso a Israele di isolare velocemente le categorie più a rischio. E iniziare le somministrazioni mirate. Lo ha spiegato Ran Balicer, Senior Advisor del governo israeliano e Chief Innovation Officer della cassa mutua israeliana Clalit.

Il sistema sanitario

Senza considerare che lo Stato ebraico ha potuto contare sull’affidabilità di “un sistema sanitario fortemente presente a livello territoriale e comunitario“. Lo ha spiegato a Open il ricercatore israeliano Hagai Rossman, tra gli autori di uno studio dell’Istituto Weizmann sulla campagna vaccinale di Israele. Per l’esperto: “È questa forse la nostra grande storia di successo. Hanno aperto centri di vaccinazione in tutto il Paese che lavorano almeno 18 ore al giorno, sette giorni su sette“. Inoltre, va considerata anche la facilità di prenotazione. Rossman ha spiegato: “Per fissare un appuntamento basta chiamare, o accedere al portale che viene usato normalmente per fissare visite ed esami“. Oltretutto, le persone anziane o disabili “Vengono accompagnati direttamente, attraverso servizi di assistenza, ai centri di vaccinazione“.

Una campagna contro la diffidenza

Per di più, il plauso a Israele deriva dal come ha presentato la sua campagna vaccinale. Nonostante la vaccinazione sia stata imposta “a tutti senza limiti di età o condizioni di salute“, le autorità hanno cercato di chiarire i dubbi della popolazione. Specialmente delle persone che diffidavano di sottoporsi all’inoculazione. “Quando non sappiamo qualcosa non diciamo non preoccupatevi diciamo non lo sappiamo“, ha spiegato Balicer. Piuttosto, ha proseguito l’esperto, “Spieghiamo come sono state prese le decisioni in una condizione di incertezza“. Una strategia vincente per Balicer, perché “Ciò aiuta a creare un sentimento di fiducia”.


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Chi ha accettato la sfida?

Soprattutto, la strategia vincente della campagna vaccinale di Israele è dovuto al fatto di aver accettato il rischio. Anzi. Di un vero e proprio salto nel vuoto. “Ciò che vediamo qui sono segnali precoci e molto incoraggianti che il vaccino sta funzionando nella popolazione“. Era il commento di Florian Krammer, virologo presso la Icahn School of Medicine of Mount Sinai a New York City. Ma le prime somministrazioni “alla cieca” avrebbero potuto avere anche un esito nefasto. Mentre l’ambasciatore dall’ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar, ha osservato: “Israele è tra gli unici Paesi al mondo in cui la questione dei vaccini è stata spinta e gestita dal primo ministro“. Anche perché “Benjamin Netanyahu ha parlato più volte con il Ceo di Pfizer dal quale ha ottenuto milioni di vaccini“, ha spiegato Eydar.

L’ambasciatore

Poco importava se significasse acquistare Pfizer-BioNTech o Moderna. “Abbiamo capito che valeva la pena pagare di più per salvare vite umane. Per ogni vaccino abbiamo pagato più del doppio degli altri“. Infine, il diplomatico ha spiegato come Israele si stia già preparando ad affrontare altre pandemie in futuro. “Netanyahu ha avuto i primi contatti per quanto riguarda la creazione di stabilimenti farmaceutici in Israele da parte di Moderna e Pfizer. L’obiettivo è creare un vaccino in ‘casa nostra’ senza doverlo importare“, ha concluso.


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Una lezione dalla campagna vaccinale di Israele

Allora perché non esportare il “caso israeliano” anche in Italia? Di certo, quando si tratta di fare simili confronti sono diversi i fattori che vanno considerati. Non solo strutturali. Ma anche, e soprattutto, culturali. Sotto il primo profilo, infatti, lo Stato ebraico vanta una popolazione di sole 9 milioni di persone. Per di più in un territorio grande quanto l’Emilia-Romagna. Una cifra ben distante dai 60 milioni di noi italiani. Quanto al secondo aspetto, invece, è evidente la cautela dimostrata dall’Italia prima di avviare le somministrazioni. Sì, perché volevamo essere sicuri. Eppure Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Sputnik, Moderna o Johnson & Johnson sono tutti accomunati dal fatto di essere nuovi. Come tutti non sono mai stati sperimentati finora. Quindi come potevamo pretendere di compiere una scelta consapevole? Al buio, un calzino vale l’altro.

Una diversa mentalità?

Proprio questo atteggiamento ha guidato l’azione politica del primo ministri israeliano Benjamin Netanyahu. Disposto a procurare al paese le dosi necessarie a qualunque prezzo e indipendentemente dalle evidenze scientifiche. Anche il Guardian ritiene che questo abbia fatto la differenza. D’altronde, in tempo di elezioni il premier non avrebbe potuto permettersi errori. Da cui il tour de force di 130mila inoculazioni al giorno. E almeno 10 mila medici immunizzati entro il 20 dicembre. Una strategia valida se si considera che il 50% dei contagiati in Israele è rappresentato da bambini. Gli unici al momento a non aver ricevuto il vaccino. Eppure, quale delle due strategie si rivelerà quella vincente sarà solo il tempo a dircelo.

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