La tendenza da parte dei top club dei maggiori campionati europei e mondiali di intraprendere una campagna acquisti incentrata sulla poca valorizzazione dei prodotti del vivaio è in crescente aumento e comporta un grande giro di trasferimenti di giocatori “esterni”, cioè non cresciuti nella squadra di appartenenza.
Di conseguenza la presenza di calciatori cresciuti nel vivaio continua a diminuire: nel 2009 la percentuale era del 23.2% mentre ora è calata fino ad arrivare al 18.5%.
Questo fenomeno è causato da vari aspetti tra cui l’intensificazione della mobilità dei calciatori e l’inefficienza delle misure che incoraggiano la crescita di giocatori del vivaio¹.
Conseguentemente la media di giocatori messi sotto contratto durante l’anno è aumentata passando da 9,1 nel 2009 (36.7% della squadra) a 10,7 del 2016 (43.9%).
In generale troviamo una discrepanza netta tra la quantità di giocatori usciti dal vivaio e quelli acquistati da altre squadre, tuttavia la differenza più evidente² si può notare nella Serie A in cui la percentuale dei primi non raggiunge il 10% mentre più della metà della rosa delle squadre è composta da giocatori “esterni”.
Il campionato che cerca di invertire questa tendenza è l’Eredivisie che presenta tra i maggiori campionati europei la più alta percentuale di giocatori cresciuti nel vivaio (23.1%) nonostante mostri comunque un gap negativo (– 13.4%) tra produzione ed importazione.
L’altra faccia della medaglia è costituita dagli espatri: la quantità di calciatori che giocano fuori dal paese in cui hanno iniziato a giocare e dal quale sono partiti dopo essere stati ingaggiati da club esteri è salita dal 34.7% nel 2009 fino al 39.7% nel 2017 con una impennata di crescita negli ultimi due anni (+ 2.2%).
La Premier League inglese rappresenta il campionato con la maggior percentuale di espatri nel 2017 (59%) seguita dall’Italia (54.3%) e dalla Germania (48.6%) mentre il campionato francese, terzo nella classifica dell’autoproduzione, è quello che tende a trattenere maggiormente i giocatori dei vivai (35.9%).
Attraverso questi due parametri si può definire la stabilità di una squadra in base alla percentuale di giocatori acquistati durante l’anno³: la cifra passa dal 36.7% del 2009 al 44.8% del 2017.
Oggigiorno 7 campionati analizzati su 35 totali cambiano più di metà rosa calcistica ogni anno, sintomo di un’accelerazione nella mobilità del mercato del lavoro dei calciatori che ha portato la permanenza media di un giocatore in un club a 2,2 anni oltre ad alzare la percentuale di nuovi acquisti in rosa dal 41.2% nel 2009 al 48.2% nel 2016.
Nella parte finale della classifica le percentuali di Inghilterra (33.3%) e Germania (30.9%) rispecchiano la loro natura autarchica.
Col passare del tempo la stabilità è diventata un lusso disponibile soltanto per i club più ricchi, capaci di trattenere i top player attraverso contratti generosi a discapito di altre squadre sono costrette ad effettuare numerosi trasferimenti per far quadrare il bilancio; il gap esistente tra i club consiste proprio nella differenza di approccio al business del mondo calcistico.
In tutto questo la speculazione non fa che aumentare la mobilità dell’ambiente, rendendo instabili le squadre e favorendo l’internazionalizzazione del mercato calcistico europeo.
Tutto ciò aumenta ancora di più la distanza tra la maggioranza dei club e i top club, capaci di acquistare qualsiasi giocatore indipendentemente dalla squadra d’origine.
¹Con questo termina si indicano quei giocatori che hanno giocato come minimo 3 stagioni tra i 15 e i 21 anni nel proprio club di appartenenza.
²L’analisi prende in considerazione 466 squadre appartenenti a 31 campionati europei delle associazioni membri della UEFA.
³Nella percentuale non sono inclusi i giocatori promossi in prima squadra dai settori giovanili.