giovedì, Marzo 28, 2024

Calcio, sconfitta in finale la Juve e una mistificazione imperdonabile

Questa è l’immagine della finale di Champions che ormai tutti ricordiamo,

quest’altra è quella che si cerca di mettere in evidenza per cancellare l’onta della partita più importante degli ultimi vent’anni.

I successi in campo nazionale hanno alterato l’oggettivo valore della squadra bianconera, ponendoli da una parte in una posizione di forza, per poi difendersi dall’altra in campo europeo.

Una strategia favorita dal pessimo rendimento dei club italiani nelle competizioni internazionali, che ha consentito ad Agnelli, anche ieri, dopo la partita di Cardiff, di alzare un grido di sostegno ai propri giocatori, incoraggiandoli a ripetere l’anno prossimo una stagione come quella appena passata.

Davvero commovente il gesto del numero uno juventino, che praticamente, con quelle frasi, ha voluto mettere la parola fine ad un banchetto di critiche preparato da coloro che attendevano l’esito della partita, per approfondirne adeguatamente ogni dettaglio.

E invece no, perché ora è troppo tardi per infierire su un mare di analisi tecniche, tattiche, emozionali, ecc, e perché comunque, la stagione, ha regalato, come da sei anni ormai, il primato in Italia.

Per mesi si è dovuto parlare dei meriti della difesa, del grande investimento fatto per acquistare Higuain dal Napoli, della straordinaria crescita di Dybala, dell’ottimo lavoro di tanti altri protagonisti del sesto scudetto e della società che li ha portati a Torino.

Poi, improvvisamente, il 4 di Giugno, il presidente, la dirigenza tutta, i tifosi soprattutto, pensano di limitare i danni rimandando tutto all’anno prossimo, ignorando con incredibile nonchalance le parole pronunciate durante tutto l’anno, o le supposizioni sui meriti ricavati dopo vittorie contro buone formazioni, ma non certo di livello assoluto.

Si è dovuto ascoltare i giudizi autorevoli di talent televisivi che hanno fatto paragoni scomodi con Juventus del passato, con l’Inter del Triplete, scavalcando addirittura i propri confini permettendosi il lusso di valutare i tanti avversari europei definendoli alla pari, se non inferiori.

Un esercizio eseguito con incurante continuità fino all’ultima settimana, quando le emozioni e l’adrenalina per il traguardo raggiunto hanno preso il sopravvento rispetto alle condizioni reali degli avversari, considerati solo gregari di un fenomeno e poco più.

Quegli stessi che poi hanno fatto tacere i milioni di bianconeri sparsi in tutta la nazione, oggi ancora capaci di offendere “chi sta peggio di loro”, pur di difendere un trono, che però appartiene ad un regno diviso dal mondo reale.

La Juventus ha perso perché è sola, perché lo è sempre stata, senza ricevere il conforto di un’intera nazione o il sostegno dai tifosi delle squadre avversarie; e non riuscirà mai ad averlo, perché sarà anche una vecchia signora, ma l’età non le ha dato quelle doti che le permetterebbero di distinguersi dalle altre.

Le manca eleganza, lo stile, la saggezza e soprattutto l’umiltà; forse perché il tempo scorre inesorabilmente, o magari perché ha cominciato a capire che qualcosa le sta sfuggendo pian piano.

Si chiama paura, e quella, probabilmente, non fa guardare le cose dal verso giusto, alterando ciò che invece appare solare, tangibile; ecco spiegato il motivo delle sconfitte: sette di nove per la precisione.

Un’ennesima occasione per la quale si è creduto di aver vinto ancora prima di giocare e per la quale si è perso rendendosene conto solo dopo aver visto Ramos alzare la coppa.

 

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