Archiviate le dimissioni di Theresa May, Boris Johnson è diventato a tutti gli effetti il nuovo primo ministro del Regno Unito. Inevitabilmente, tenendo conto della sua posizione particolarmente rigida sulla questione, ci si comincia a chiedere cosa potrà accadere nei prossimi mesi per quanto concerne la Brexit, ovvero l’uscita di scena della Gran Bretagna dall’Unione Europea che, stando agli ultimi accordi, dovrebbe essere ratificata il 31 ottobre 2019.
Boris Johnson nuovo primo ministro del Regno Unito
L’avvento alla guida del governo inglese del politico 55enne è stato accolto in un clima di tensione e preoccupazione, soprattutto perché con lui avanza lo spettro di una Brexit no-deal, e in questo senso il neo-premier non ha rilasciato alcuna dichiarazione per stemperare i toni e rassicurare gli addetti ai lavori. Infatti, dopo aver scelto una squadra di governo palesemente legata alla correnti più estremiste del Partito Conservatore, Boris Johnson fin da subito ha affermato di voler ridiscutere i termini dell’intesa siglata da Theresa May con l’Unione Europea, puntando innanzitutto all’annullamento del backstop riguardante i confini irlandesi, e volendo ritardare la data per il versamento dei 39 miliardi di sterline da Londra alla UE.

Tutto ciò ha provocato una decisa reazione da parte di Bruxelles che ha fatto sapere di non essere disposta a rivedere l’accordo, essendo completamente contraria alla posizione del primo ministro britannico. Dunque, inevitabile pensare che nei prossimi mesi si possa rischiare di arrivare ad un muro contro muro tra Regno Unito e partner europei, soprattutto se Johnson non farà alcun passo indietro rispetto al suo atteggiamento «hard brexiter». Il leader del governo di Londra, infatti, ha tutte le intenzioni di rivedere i negoziati e di superare il documento stilato dalla May che – ha ricordato – è stato bocciato per ben tre volte dal Parlamento inglese.
Su tutti, l’esponente del Partito Conservatore intende a tutti i costi eliminare il backstop, ovvero la garanzia riconosciuta all’Unione Europea di non innalzare alcun confine fisico tra Irlanda e Nord Irlanda almeno fino a quando non verrà firmato una volta per tutte l’accordo sulla separazione ufficiale.
L’UE contro Boris Johnson e lo spettro nuove elezioni
Se Boris Johnson ha dimostrato di essere piuttosto fermo nelle sue posizioni inerenti la Brexit, l’Unione Europea non è stata da meno. Infatti è stata prontamente inviata una nota ufficiale al team di diplomatici che si sta occupando dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’UE, nella quale il responsabile delle trattative, Michel Barnier, ha definito senza mezzi termini «inaccettabili» le condizioni poste dal premier britannico, ricordando a tutti di non lasciarsi influenzare e di mantenere i nervi saldi in quella che sarà una difficile e tortuosa contrattazione.
Infatti con Boris Johnson alla guida del Parlamento britannico si sta facendo sempre più ingombrante lo spettro di un no-deal, una soluzione che Bruxelles vuole assolutamente evitare. Sul tema è intervenuto anche Jean-Claude Juncker, presidente uscente della Commissione, il quale ha ancora una volta ribadito che l’attuale intesa raggiunta con Theresa May è la migliore soluzione possibile, dunque non andrà affatto modificata.

Oltre a doversi confrontare con la ferma opposizione dei partner europeo, il primo ministro inglese deve fare i conti anche con dei pesanti contrasti interni. Questi, infatti, ha già informato i suoi collaboratori a prepararsi a gestire un eventuale no-deal che, visto lo scenario che si prospetta, a questo punto non rappresenta più un’ipotesi remota. I laburisti hanno già comunicato di essere contrari a questa soluzione, ma anche una frangia del Partito Conservatore non intende seguire il piano di Johnson, e per questo motivo attualmente vi è una profonda frattura interna e una scarsa comunione d’intenti in merito al no-deal. A dimostrazione di ciò, alcuni rappresentanti dei Tory hanno votato a favore di una mozione che vieta al premier di bloccare l’attività del Parlamento per arrivare ad una Brexit senza prima siglare un’intesa con l’Unione Europea.
Questa intricata vicenda è stata analizzata a fondo dal Financial Times, secondo cui non è da escludere che prima del 31 ottobre si possa arrivare anche alle elezioni politiche. Con questa mossa, Boris Johnson potrebbe tentare di ottenere una robusta maggioranza alla Camera dei Comuni che gli consentirebbe di portare avanti la Brexit nella data prevista e senza troppi ostacoli interni. Tuttavia non si esclude a priori una clamorosa alleanza con Nigel Farage e il suo Brexit Party, il movimento euroscettico che alle ultime elezioni europee è riuscito ad assicurarsi 29 deputati nel Parlamento UE. In questo caso Johnson potrebbe avere quella che è stata definita una «maggioranza decente», che però non lo metterebbe al riparo da eventuali sorprese.
La squadra di governo è un segnale chiaro
Le intenzioni politiche di Boris Johnson sono emerse anche nel momento in cui ha formato il suo governo. Il Ministero delle Finanze è stato affidato a Sajid Javid, ex banchiere ma soprattutto personalità che sta guadagnando numerosi consensi tra i Conservatori. Dominic Raab, ex responsabile della Brexit, è stato richiamato come titolare degli Esteri, mentre agli Interni è stata nominata Priti Patel, storica sostenitrice della Brexit molto discussa quand’era stata allo Sviluppo Internazionale per alcune sue proposte, come ad esempio quella di reintrodurre la condanna a morte nel Regno Unito.

Il Dicastero della Difesa è stato affidato all’ex militare Ben Wallace, mentre per il Commercio il primo ministro ha scelto una sua storica collaboratrice, Liz Truss. Infine ha generato tensioni soprattutto la scelta di Jacob Rees-Mogg come leader della Camera dei Comuni che sarà chiamato a fare da tramite nei rapporti tra la maggioranza e il Parlamento. Il politico 50enne, infatti, è stato uno dei principali oppositori di Theresa May in materia di Brexit, nonché noto euroscettico.