giovedì, Aprile 18, 2024

Bambini di Gaza: gli unici sconfitti della guerra

Israele e Hamas concordano un cessate-il-fuoco. Ciascuno a modo suo, ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato: uscirne più forte di prima. Ma il freddo calcolo non ha considerato che a pagare il prezzo maggiore sarebbero stati (e saranno) i bambini. È giusto che l’interesse personale si spinga a tanto?

Ci siamo dimenticati dei bambini di Gaza?

Le bombe hanno cancellato il futuro dei bambini di Gaza. Non solo di quanti sono morti sotto agli attacchi. Almeno 65 tra bambini e ragazzi. Anche se, in realtà, una vita soltanto persa nei bombardamenti sarebbe stata di troppo. Sono quasi 600 i minori feriti. Per lo più nella Striscia di Gaza. A molti di loro la guerra ha tolto tutto. Le loro madri, ad esempio. In appena undici giorni, sono morte 30 donne. Tre delle quali incinte. Per le esplosioni o i relativi crolli, oltre 1500 palestinesi sono rimasti feriti. Tra cui minori. Circa 450 edifici sono crollati. E 47.000 persone costrette a rifugiarsi nelle strutture messe a disposizione dall’Agenzia delle Nazioni Unite Unrwa. Soprattutto scuole. Il tutto in un fazzoletto di terra dove la pandemia è ancora incontrollata, e le persone vaccinate sono meno del 2%.

Danni collaterali

“Perdite non volute”. Così le ha definite il Commando di Tel Aviv. Ma la guerra non si fa certo da soli. Determinati a raggiungere l’obiettivo, entrambi gli schieramenti hanno capitalizzato anche il conflitto. Imporsi sull’avversario non era solo una questione di sopravvivenza, ma anche di onore. Soprattutto, di prestigio politico. In tal senso, il tentennamento di Naftali Bennett si è rivelato esemplare. Dapprima, il leader di destra ha corteggiato il primo ministro Benjamin Netanyahu, sventolandogli sotto al naso il miraggio della coalizione. Salvo poi abbandonarlo quando la situazione non avrebbe più giocato a suo favore. Ora si è pentito di nuovo. O, meglio, ha ricalcolato. Intanto, è tornato da pulcino sotto l’ala della chioccia che aveva morso come una vipera.


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Le ragioni della tregua

Dopo la tregua, tanto il Premier Netanyahu quanto gli estremisti di Gaza rivendicano la vittoria. D’altronde, solo la sconfitta è orfana. Per altro, un cessate-il-fuoco che non si sa per quanto potrà durare, visto che la piaga delle ostilità continua a riaprirsi. Ma Netanyahu ha avuto solo che da guadagnare dal radere al suolo la Striscia. “Ci vorrebbe una grande dose di faciloneria per credere che tutto quello che è successo in questa settimana sia il risultato di una coincidenza cosmica”, ha detto Aluf Benn di Haaretz. Soprattutto ora, Quando mancano pochi minuti al giuramento del nuovo governo esplodono tensioni nazionaliste e religiose”.

Il fine giustifica i mezzi?

Per noi Hamas rappresenta ciò che per voi è l’Isis”, ha detto Netanyahu. Il che dovrebbe bastare a giustificare qualsiasi offensiva contro il gruppo che gli Usa hanno classificato terroristico. Eppure, lo Stato ebraico non è mai riuscito a sconfiggere gli estremisti. Sebbene vanti uno degli eserciti più potenti al mondo, oltre che il supporto degli Usa, Israele non ha annientato l’organizzazione. La quale, all’opposto, ha incrementato la sua capacità bellica nel corso degli anni. Ha ampliato le sue relazioni con potenze regionali quali l’Iran. Soprattutto, ha imparato dai propri errori e ha costruito una rete sotterranea di tunnel della quale non si conosce esattamente l’estensione. Nonostante la propaganda sionista sia convinta del contrario.


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I bambini di Gaza: paura negli occhi

A bene vedere, l’ultimo conflitto che Israele ha vinto risale a 54 anni fa. Più precisamente alla Guerra dei Sei giorni, del 1967. A tal proposito, l’occupazione del Libano nel 1982 si rivelò un disastro. Lo stesso nella campagna in Libano del 2006, conclusa con una sconfitta. Come non ha trionfato a Gaza (2008, 2012, 2014). Tutte accomunate dallo stesso esito: una tregua. Eppure, non ci sono sconfitti in questa guerra per la legittimazione. Fatta dei disordini e delle rappresaglie che abbiamo visto attraverso il filtro dei social media. Ma ciò che non ci è stato mostrato sono le immagini dei genitori piegati sui corpi senza vita dei propri figli.

Bambini di Gaza: una testimonianza

Per molti di loro si tratta del quarto conflitto. Nemmeno conoscono cosa sia la pace. Amal, un nome di fantasia, ha 10 anni e vive a Gaza con la sua famiglia. Prima che il cessate il fuoco entrasse in vigore, ha detto: “Sono terrorizzata, e ora quel terrore sta diventando più grande. Abbiamo iniziato a dormire in corridoio perché ho tanta paura. Non posso andare da nessuna parte senza mia madre o mio padre“. “Le finestre sono andate in frantumi su di noi e mia madre ha dovuto proteggerci“, racconta. E ancora. “Ho davvero paura e la paura si è diffusa ovunque. Resto sveglio tutta la notte, non riesco a dormire dai suoni dei loro attacchi aerei“. Oggi i bambini palestinesi e israeliani hanno ancora paura. E ne avranno per molto tempo.


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Le sofferenze dei bambini di Gaza

Soffrono di ansia, di mancanza di sonno. Mostrano segni preoccupanti di angoscia, come il costante tremore e l’enuresi notturna. Ciò che è peggio, questi traumi avranno effetti di lunga durata. “I bambini che vivono in uno stato di paura costante della violenza possono soffrire di ansie continue di lunga durata e sviluppare risposte fisiologiche allo stress“, ha detto oggi Save the Children. A un anno dalla fine dei 50 giorni di guerra a Gaza, nel 2014, l’organizzazione aveva riferito che 7 bambini su dieci soffrivano ancora di incubi notturni. Una ricerca analoga nel 2019, dopo l’escalation nel 2018, aveva riportato risultati molto simili. Eppure, il fatto che la tregua sia giunta di colpo suggerisce che anche la tempistica in guerra faccia la differenza.

La politica colpisce i bambini di Gaza

L’intenzione, sottaciuta, era quella di cessare le ostilità. Prima o poi. Allora è vera l’asserzione del generale prussiano Karl von Clausewitz, secondo cui la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. “La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico“, diceva. Pertanto, appare eccessivo attribuire al presidente Joe Biden il merito di essere riuscito laddove una settimana di sforzi internazionali avevano fallito. È superfluo persino chiedersi cosa si siano detti Biden e Netanyahu al telefono. Quello che vuole ottenere il Premier israeliano è di essere confermato al potere. Del resto Yair Lapid è un ostacolo facile da superare. Soprattutto nel caso in cui il Paese debba affrontare una grave emergenza. Come una guerra.


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E Biden trema

Palestinian lives matter”, aveva sentenziato il suo antico rivale. Il Senatore del Vermont Bernie Sanders. Ma non è il più radicale dei radicali che dovrebbe impensierire il nuovo presidente. Piuttosto, la “vulnerabilità” di Biden deriva dal suo continuo temporeggiare nelle “zone calde”. Specialmente agli occhi del suo partito. Ad oggi, il democratico che avrebbe dovuto chiudere il fascicolo delle “guerre infinite” degli Stati Uniti non ha chiarito quale sia (e sarà) la sua politica estera in Medio Oriente. Persino il suo buonismo nei confronti di Israele potrebbe danneggiarlo. A maggior ragione perché significherebbe avvallare le “unintended casualties”. Le perdite non volute delle IDF. I bambini di Gaza. Ma anche di Israele.


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Il rischio del “Whatever it takes”

Dall’altra parte, lo stesso Netanyahu dovrà fare attenzione a non tirar troppo la corda. Certo, la nuova situazione potrebbe garantirgli un vantaggio. Come potrebbe presentare nuovi rischi. In questo senso, uno dei danni collaterali potrebbe essere la formazione di un governo in cui lui non partecipi. Nemmeno come Premier. Soprattutto se i contendenti hanno poche pretese. Ad esempio Mansour Abbas. Il leader islamista della Lista araba unita (Raam) non si è mai dimostrato schizzinoso nella scelta delle fazioni che lo avrebbero affiancato al governo. A differenza del Partito Sionista Religioso: asso nella manica e spina nel fianco per il primo ministro Netanyahu. Se lo “scontro” con Hamas gli ha permesso di guadagnare un po’ di tempo, di certo dovrà studiare nuove mosse per sperare di consolidare la sua leadership. Nonostante sia presto per dire chi abbia vinto, intanto possiamo dire chi ha perso. I bambini di Gaza. E di Israele.

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