giovedì, Aprile 25, 2024

Amici miei

Il 24 ottobre 1975, nelle sale italiane, esce un film destinato a fare storia: Amici miei

Ancora le stelle. Come l’ho viste la notte scorsa e tante altre notti. Notti, giorni, amori, avvenimenti… ho già sulle spalle un bel fardello di cose passate. E quelle future? Che sia per questo? Per non sentire il peso di tutto questo che continuo a non prendere nulla sul serio? Oppure, che abbia ragione mio figlio? […] Però è stata una bella giornata; bella, libera, stupida. Come quando s’era ragazzi. Chissà quando ne capiterà un’altra…

Perozzi (Philippe Noiret), si sdraia vestito sul letto, già sofferente, e con la mano destra si tira addosso la coperta. Non lo sa ancora, ma per lui non ci sarà più un’altra giornata. Si apre così l’ultimo capitolo della storia, dopo l’ennesimo scherzo che ha offerto loro il pretesto per fuggire qualche ora, ancora una volta, ognuno dalle responsabilità della propria vita, fingendo che tutto sia un gioco senza fine. Nelle sue parole c’è tutto il film, ed anche il preludio alla sua inevitabile, drammatica conclusione: l’ebbrezza della finzione è passata, ed ognuno ritorna a fare i conti con le difficoltà, le delusioni, le responsabilità, l’angoscia che nasce dall’incapacità di dare un senso alla propria esistenza.

Avulso dalla contemporaneità (e dalle complessità) degli anni di piombo, Amici miei ripropone il tema dell’amicizia maschile già affrontato dal regista Monicelli in altri suoi celebri film – I soliti ignoti, La grande guerra, L’armata Brancaleone –, ma questa volta a dominare non è lo spirito cameratesco, né quello di sacrificio, bensì un profondo cinismo che detta le regole del rapporto, ma nel quale anche ognuno di loro può essere, indifferentemente, vittima o carnefice dell’altro, in un crescendo di scherzi, anche crudeli e spesso tutt’altro che innocui, che vanno ad alimentare quell’allegria disperata che ricorda, per certi versi, La grande abbuffata di Ferreri ed il suo riferimento obbligato, il Decameron del Boccaccio.

celebrano fino al parossismo il mito della vita come gioco, esasperandolo e per questo connotando negativamente il suo implicito infantilismo e la sua inadeguatezza ad affrontarla

La trama ruota attorno alle giornate trascorse da un gruppo di cinquantenni fiorentini – oltre al giornalista Perozzi, il conte Raffaello “Lello” Mascetti (Ugo Tognazzi), il barista Necchi (Duilio del Prete), l’architetto Melandri (Gastone Moschin) ed il primario Sassaroli (Adolfo Celi) – che celebrano fino al parossismo il mito della vita come gioco, esasperandolo e per questo connotando negativamente il suo implicito infantilismo e la sua inadeguatezza ad affrontarla – nel solco dell’epopea maschile e maschilista del contesto sociale del bar, dove l’epica delle narrazioni è popolata da stereotipi, personaggi (e non persone), e priva quella continuità nella quale si dispiega il senso delle singole esistenze, proprio come la finzione letteraria o cinematografica; episodi che non ricostruiscono una vita nella sua interezza, ma solo, a tratti, l’animano.

lo scherzo diviene persecuzione , le debolezze dell’altro un’occasione per infierire, le latitanze dai doveri della famiglia la regola

Questa apparente leggerezza con cui i protagonisti affrontano la vita, di per sé potenzialmente eversiva, si rivela artificiosa proprio nella rigida connotazione con cui essi si rapportano al mondo che li circonda: il ruolo della donna è confinato nelle dimensioni di amante o servitrice, la famiglia è una prigione, i figli un fastidio, e, più in generale ogni assunzione di responsabilità viene vissuta come un ostacolo alla dimensione compulsiva del gioco. Gioco che, inevitabilmente, non solo non si pone nessun limite, ma soprattutto, come una droga, per mantenere alto il suo effetto di alienazione dalla vita reale, esige che la posta in gioco si alzi sempre di più; lo scherzo diviene persecuzione (come nelle sequenze in cui compare Bernard Blier), le debolezze dell’altro un’occasione per infierire (la povertà del Mascetti, alleviata, ma anche derisa dagli amici), le latitanze dai doveri della famiglia la regola (moglie e figlia, sempre del Mascetti, lasciate prive di sostentamenti, quella del Sassaroli, abbandonata – anche dal Melandri – assieme alle due bambine); e, dietro l’angolo, la noia rimane sempre in agguato.

La lucida analisi dei personaggi, non toglie però niente alla godibilità del film, seppure nell’artificio dell’assenza di consecutio temporum che mitiga l’inevitabilità delle conseguenze dei diversi episodi che compongono, in modo vagamente articolato, la trama. Amici miei è un film poco contestuale, ma in grado di offrire numerosi elementi di rilevanza sociale perché capace di cogliere e raccontare lo spirito del tempo di un’Italia nella quale non tutti sono schierati nella sanguinosa battaglia che contrappone gli estremismi politici e sociali, ma, delusi – da un lato – di ciò che sono, di quello che hanno fatto, e allo stesso tempo incapaci di andare oltre, non trovano di meglio che fare quadrato e provare, in un modo o nell’altro, a dimenticare tutto e tutti, anche se stessi. Gli anni ’80 non sono lontani, e il piccolo gruppo di amici restituisce, singolarmente e nel suo insieme, una complessa panoramica della psicologia maschile in un quadro sociale che, esaurendo la spinta propulsiva degli anni precedenti, mostra i primi segni di cedimento e di stanchezza.

nel tentativo di non farsi ferire dalla vita, non solo si spingono sempre verso l’imprudenza fatale, ma, cosa ancor più grave, non riescono mai ad afferrarne neanche la parte più bella

L’analisi di Monicelli delinea un modo di vivere che, nella coesistenza di spinte opposte – il gioco che rivela la sua inadeguatezza ad affrontare la vita, il desiderio di ferire a oltranza che diviene ferocia autodistruttiva, la sacralità dell’amicizia che trascende nella sua violazione – costantemente è impegnato nel non farsi permeare dalle emozioni più profonde; come i bambini, il cui coraggio irrazionale si alimenta della loro percezione di onnipotenza, i cinque amici, nel tentativo di non farsi ferire dalla vita, non solo si spingono sempre verso l’imprudenza fatale, ma, cosa ancor più grave, non riescono mai ad afferrarne neanche la parte più bella fatta di quelle emozioni che, nella loro visione, sono sinonimo di “responsabilità”, e per questo da rifuggire.

Massimiliano De Luca
Massimiliano De Lucahttp://www.massimilianodeluca.it
Sono nato a Firenze nel 1968. Dai 19 ai 35 anni ho speso le mie giornate in officine, caserme, uffici, alberghi, comunità – lavorando dove e come potevo e continuando a studiare senza un piano, accumulando titoli di studio senza mai sperare che un giorno servissero a qualcosa: la maturità scientifica, poi una laurea in “Scienze Politiche”, un diploma di specializzazione come “Operatore per le marginalità sociali”, un master in “Counseling e Formazione”, uno in “Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche”, un dottorato di ricerca in “Analisi dei conflitti nelle relazioni interpersonali e interculturali”. Dai 35 ai 53 mi sono convertito in educatore, progettista, docente universitario, ricercatore, sociologo, ma non ho dimenticato tutto quello che è successo prima. È questa la peculiarità della mia formazione: aver vissuto contemporaneamente l’esperienza del lavoro necessario e quella dello studio – due percorsi completamente diversi sul piano materiale ed emotivo, di cui cerco continuamente un punto di sintesi che faccia di me Ein Anstàndiger Menschun, un uomo decente. Ho cominciato a leggere a due anni e mezzo, ma ho smesso dai sedici ai venticinque; ho gettato via un’enormità di tempo mentre scrivevo e pubblicavo comunque qualcosa sin dagli anni ‘80: alcuni racconti e poesie (primo classificato premio letterario nazionale Apollo d’oro, Destinazione in corso, Città di Eleusi), poi ho esordito nel romanzo con "Le stelle sul soffitto" (La Strada, 1997), a cui è seguito il primo noir "Sotto gli occhi" (La Strada, 1998 - segnalazione d’onore Premio Mario Conti Città di Firenze); ho vinto i premi Città di Firenze e Amori in corso/Città di Terni per la sceneggiatura del cortometraggio "Un’altra vacanza" (EmmeFilm, 2002), e pubblicato il racconto "Solitario" nell’antologia dei finalisti del premio Orme Gialle (2002). Poi mi sono preso una decina di anni per riorganizzare la mia vita. Ricompaio come finalista nel 2014 al festival letterario Grado Giallo, e sono presente nell’antologia 2016 del premio Radio1 Plot Machine con il racconto "Storia di pugni e di gelosia" (RAI-ERI). Per i tipi di Delos Digital ho scritto gli apocrifi "Sherlock Holmes e l’avventura dell’uomo che non era lui" (2016), "Sherlock Holmes e il mistero del codice del Bardo" (2017), "Sherlock Holmes e l’avventura del pranzo di nozze" (2019) e il saggio "Vita di Sherlock Holmes" (2021), raccolti nel volume “Nuove mappe dell'apocrifo” (2021) a cura di Luigi Pachì. Il breve saggio "Resistere è fare la nostra parte" è stato pubblicato nel numero 59 della rivista monografica Prospektiva dal titolo “Oltre l’antifascismo” (2019). Con "Linea Gotica" (Damster, 2019) ho vinto il primo premio per il romanzo inedito alla VIII edizione del Premio Garfagnana in giallo/Barga noir. Il mio saggio “Una repubblica all’italiana” ha vinto il secondo premio alla XX edizione del Premio InediTO - Colline di Torino (2021). Negli ultimi anni lavoro come sociologo nell’ambito della comunicazione e del welfare, e svolgo attività di docenza e formazione in ambito universitario. Tra le miei ultime monografie: "Modelli sociali e aspettative" (Aracne, 2012), "Undermedia" (Aracne, 2013), "Deprivazione Relativa e mass media" (Cahiers di Scienze Sociali, 2016), "Scenari della postmodernità: valori emergenti, nuove forme di interazione e nuovi media" (et. al., MIR, 2017), Identità, ruoli, società (YCP, 2017), "UniDiversità: i percorsi universitari degli studenti con svantaggio" (et. al., Federsanità, 2018), “Violenza domestica e lockdown” (et. al., Federsanità, 2020), “Di fronte alla pandemia” (et. al., Federsanità, 2021), “Un’emergenza non solo sanitaria” (et. al., Federsanità, 2021) . Dal 2015 curo il mio blog di analisi politica e sociale Osservatorio7 (www.osservatorio7.com), dal 2020 pubblicato su periodicodaily.com. Tutto questo, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto a modo mio, ma più con impeto che intelligenza: è qui che devo migliorare.

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