Alt News: lotta alla disinformazione in India

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Nell’India devastata dalla pandemia, un gruppo di “verificatori di fatti” cerca di smontare le fake news, che nel Paese rappresentano un grave problema. Ecco cos’è Alt News.

Alt News, cosa fanno?

Cominciamo dal principio. Uno degli ultimi fatti risale allo scorso febbraio: Naveen Kumar, politico del Bharatiya Janata Party (BJP) ha pubblicato su Twitter un video, con un uomo che ne aggrediva un altro, apparentemente senza motivo. La didascalia recitava “Puoi riconoscerli dai loro vestiti”, alludendo alla possibile identità religiosa dell’assalitore. Va premesso che Kumar non è un politico qualsiasi: il suo partito è al governo, lui ne è il portavoce e ha oltre 25.000 follower, è in grado quindi di raggiungere una vasta platea.


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Il caso

Il tweet ha attirato l’attenzione dell’altro protagonista di questa vicenda. Mohammed Zubair è proprio il co-fondatore di Alt News, organizzazione che si occupa di controllare eventuali fake news e di combattere la disinformazione. Il video del politico stava già diventando virale quando Zubair ha deciso di prendersene carico. Il 2 marzo, quindi, ha svelato l’arcano: l’aggressore non era un musulmano indiano che inspiegabilmente aggrediva in induista, ma un uomo di nazionalità srilankese, con conclamati problemi mentali. Nessuna questione razziale, dunque, se non nella mente di Kumar. Che però non ha cancellato il post, neanche messo davanti all’evidenza.

Un grave problema

Questo evento ci aiuta a capire la portata della questione della disinformazione in India, al momento particolarmente radicata nel partito al governo. I tentativi di Facebook e Twitter di arginarla non sono stati sufficienti, e molti indiani preferiscono una verità alterata a fronte di dover cercare da soli i fatti reali. Per questo motivo è nata Alt News.

La nascita di Alt News

I fondatori di Alt News sono due ingegneri di 38 e 39 anni, incontratisi nel 2016 per dare vita a questo progetto: uno è Mohammed Zubair, appunto, l’altro Pratik Sinha. La sede si trova ad Ahmedabad, la città più grande del Gujarat, e prima dell’inizio della pandemia erano 12 i dipendenti dei due colleghi. Anche se il progetto sta crescendo (1,3 milioni di follower), però, la battaglia deve essere portata avanti duramente ogni giorno.

Come smontare una fake news

Al momento anche Zubair lavora in smart working, nella sua casa di Bangalore. Ogni mattina scorre le pagine dei social media, principale fonte di disinformazione: controlla il numero WhatsApp dell’agenzia, punto di contatto con i suoi seguaci. In questo momento, le principali fake news consistono nei rimedi fasulli per contrastare il Covid. In generale, però, la maggior parte delle notizie false riguardano “un musulmano che fa qualcosa”. Ad esempio, immagini dall’Egitto che vengono spacciate per foto del Ramadan in tempo di pandemia, o scene dal Bangladesh che vengono manipolate in maniera del tutto fuorviante.

La giornata di Alt News

Sono le 11 quando Zubair comincia a distribuire i compiti tra i suoi collaboratori. Alcune fake news possono essere smontate facilmente con un controllo incrociato delle immagini; altre richiedono un’indagine più approfondita, ed è allora che fervono i contatti con Pratik Sinha, che vive ad Ahmedabad. I due hanno creato anche un’app mobile, che permette di visionare tutti i fatti della giornata e agli utenti di inviare materiale per contribuire alla causa.

Rischi calcolati

Naturalmente, a tanto impegno equivale un fattore di rischio. I creatori del World Press Freedom Index hanno posizionato l’India al 142esimo posto su 180, notando che “la pressione sui media è aumentata per mantenere la linea del governo nazionalista indù”. Molti giornalisti, a decine, sono stati accusati di sedizione, che in India può costare l’egastolo. Altri hanno purtroppo dato la vita per la causa. È quindi Pratik Sinha ad occuparsi della sicurezza dell’intero team.

La storia della disinformazione in India

Non è però sempre stato così. Tutto ha avuto inizio nel 2014, con la sfida elettorale tra Rahul Gandhi, votato dal Congresso, e Narendra Modi, del BJP. Il Partito del Congresso di centro sinistra aveva mantenuto il potere per quasi settant’anni, sin dall’indipendenza dell’India nel 1947: come insegnava il Mahatma, aveva dato vita a molti progetti per l’assistenza sociale e il conseguente calo della povertà. Ma il partito era ormai ostaggio della corruzione. E in questa crepa Modi si era insinuato.

Modi e il modello Gujarat

Narendra Modi proveniva da una famiglia di bassa casta, ma aveva dato spazio ad ampie aziende come Tata Motors e Ford nello stato del Gujarat. Questo era già uno degli stati più industrializzati dell’India, ma i membri del suo staff avevano creato il termine Modello Gujarat per cercare di alimentare intorno a Modi il mito del buon politico. Fu una delle concause che portò alla sua elezione, a scapito di Gandhi: ma non tutto era come sembrava, e il popolo indiano se ne rese conto solo dopo la sua ascesa al potere.

Le basi della disinformazione

Il primo sentore risaliva però al 2002, pochi mesi dopo l’inizio del mandato di Modi come Primo Ministro. Un treno che trasportava pellegrini indù prese fuoco, e 59 passeggeri trovarono la morte. Modi dichiarò che si era trattato di “un attacco terroristico organizzato”, esponendo poi i corpi in pubblico. I media in lingua gujrati ripresero la notizia, dando il via in tal modo ad un’ondata di odio verso i musulmani: il giorno seguente folle di induisti assaltavano i vicini musulmani, bruciando case e attività e uccidendo più di mille persone.

Nessuna conseguenza

In seguito la Railway Protection Force concluse che l’assalto fosse solo frutto di un “alterco spontaneo” tra le due religioni, e Human Rights pose il quesito sulla responsabilità di Modi nella vicenda: ma molti indiani rimasero convinti della sua innocenza. “Uno dei più grandi pezzi di disinformazione accaduti in India”, secondo Nirjhari Sinha, direttore della Pravda Media Foundation e madre di Pratik. Da essa è nata successivamente Alt News.

Campagna di disinformazione

Nonostante questo fatto, Modi venne eletto come Primo Ministro una seconda volta, e poi una terza. La disinformazione era una delle basi della sua campagna elettorale, così come i suoi millantati atti di eroismo. Parimenti si cercava di dipingerlo come un leader che potesse ottenere il rispetto per l’India da tutto il resto del mondo. E gran parte della battaglia si svolgeva già su Twitter, con l’ausilio di frotte di troll di Destra, tutti coordinati dal BJP. Il Partito del Congresso non era pronto a contrattaccare, a Rahul Gandhi sbarcò sul social solo nel 2015: ad oggi ha soltanto 18 milioni di follower, contro i 67 di Modi. “Modi era in grado di impostare la narrazione” ha spiegato ancora Nirjhari Sinha “E nessuno era in grado di contrastarla”.

Incitamento all’odio

I troll in questione si davano da fare per portare acqua al mulino del loro leader. Incitamento all’odio e minacce di violenza a chiunque non volesse sostenerlo: leader dell’opposizione, VIP di Bollywood, semplici elettori. Molti degli indiani, alla fine, dovevano aver pensato di non avere altra scelta che votarlo. E così Modi vinceva nel 2014, naturalmente con una maggioranza schiacciante. La disinformazione però era solo all’inizio.

L’esperienza di Sinha

Pratik Sinha è, come abbiamo già detto, nativo del Gujarat, e ha perciò assistito in prima persona a tali manovre. “In Gujarat, gli attivisti per i diritti civili dicevano ai media che il modello del Gujarat non era un modello di sviluppo” spiega. “È un modello di autoritarismo, oppressione delle minoranze, e si ripeterà”.

Il primo post di Alt News

Era il febbraio del 2017, e si trattava di uno sbugiardamento di una GIF di Donald Trump con un cartello e la scritta Vota per BJP. Si trattava naturalmente di un’immagine amatoriale, ma ormai usuale per il partito. Da premettere che la pratica della disinformazione era prassi per tutti i partiti indiani dal 2014, ma mai ai livelli del BJP. La guerra era dunque iniziata.

Un universo complesso

La prima dimostrazione dell’agenzia era far capire in che misura i siti web di destra spacciassero fake per notizie verificabili. Non si limitava però a segnalare i post singoli: il suo impegno era di dimostrare che si trattava solo di piccole gocce di un mare molto più grande, di pezzi di un puzzle più complesso. Così, con le sue indagini, Alt News è stata in grado di provare i collegamenti tra questi siti e il partito di maggioranza. Ma, esattamente, qual è la “fabbrica” della disinformazione?

Il caso dello sciopero pakistano

Eclatante è stato un caso del 2019. In un momento di tensione crescente, attacchi aerei indiani avevano colpito una zona rurale del Pakistan. I media, già “allenati” al sistema di informazione di Modi, avevano riferito che 300 terroristi erano morti nell’attacco. I giornali e i media stranieri, invece, avevano parlato di alcuni alberi colpiti e non molto di più. La verità, ovviamente, era questa seconda.

Le famiglie smascherano il caso

La verità era che sì, c’erano stati degli attacchi aerei contro il Pakistan, una rappresaglia dopo un attacco terroristico che aveva ucciso 40 soldati indiani in Kashmir. Nei giorni successivi, però, la madre di uno di questi soldati aveva affermato di non aver visto alcuna prova di terroristi morti. Magicamente, questa dichiarazione aveva fatto circolare cinque immagini, ma subito smontate da Alt News. Quattro erano foto di vittime di un’ondata di caldo nel 2015 in Pakistan, la quinta forse le vittime di un bombardamento nel 2013, per di più in un’altra regione.

Un processo organizzato

“Qualcuno ha cercato di impostare la narrazione” ha spiegato Sinha. “In primo luogo, hanno usato i mass media per affermare che quasi 300 persone erano state uccise, e letteralmente ogni giornale e canale televisivo hanno trasmesso le informazioni. Quindi, hanno riempito i pezzi mancanti con le immagini e hanno inondato WhatsApp”. Come abbiamo già detto, tanto impegno non è esente da rischi, e proprio nel 2017 Partik Sinha ha ricevuto la prima minaccia telefonica di morte: Smettila di scrivere o ti spareremo.

L’attivismo di Partik Sinha

L’impegno attivista di Sinha ha radici lontane, in quanto i suoi genitori, entrambi scienziati, erano anche attivisti. Tuttavia, inizialmente Partik aveva preso la strada di ingegnere del software, lavorando anche per un periodo negli Stati Uniti. Il padre, Mukul, a causa del suo attivismo aveva perso il lavoro, formandosi poi come avvocato e diventando il volto pubblico di un piccolo movimento di resistenza. Il suo contributo è stato importante per l’arresto, nel 2010, di Amit Shah, alleato di Modi. Nel 2013 però a Mukul Sinha veniva diagnosticato un cancro, e il figlio, allora trentunenne, riprendeva il suo posto e i passi paterni nella famiglia.

Scoperte da divulgare

Padre, madre e figlio da allora erano sempre insieme, cercando di smascherare il governo al potere. Nessuno però voleva pubblicare le loro scoperte, e Pratik aveva consigliato di farlo online. Nasceva così Truth of Gujarat, una specie di antesignano di Alt News. Non era però sufficiente per avere davvero un impatto a livello nazionale: ed ecco il sodalizio con Mohammed Zubair, allora ingegnere delle telecomunicazioni, e già sostenitore della famiglia Sinha.

Sollevare il morale

Inizialmente solo, Zubair si proponeva di raccontare storie surreali che potessero risollevare la popolazione indù. Una delle prime era che tutti nel mondo fossero originariamente indù: e le persone leggevano con interesse, e spesso credevano ad ogni parola che diceva. Il suo sfacciato umorismo aiutava la popolazione ad avere un po’ di respiro in un clima così difficile e pesante.

L’incontro di due menti

L’incontro tra Zubair e Sinha prese il via quando il primo utilizzò un’immagine del sito della famiglia del secondo per uno dei suoi racconti. La reazione non fu positiva, ma offrì ai due la possibilità di conoscersi e rendersi conto di quanto fossero simili. Nel 2016, con il padre di Pratik scomparso per il cancro, i due erano pronti a iniziare il loro nuovo progetto.

Hashtag chalouna

Le minoranze avevano vita dura dalla prima elezione a Primo Ministro di Modi. Il 5 agosto 2016 i sostenitori degli oppressi intrapresero una marcia di protesta da Ahmedabad a Una, 300 km di strada. Sinha e sua madre parteciparono, documentando i 10 giorni sui social. I media li ignorarono, ma i suoi aggiornamenti erano popolari, tutti accompagnati dall’hashtag #chalouna, “andiamo a Una”. La consapevolezza che uno strumento semplice come uno smartphone potesse far sentire la sua voce gettò il seme per Alt News.

Tecnologia alla portata di tutti

Il 2016 portava in India anche la possibilità, per milioni di indiani, di usufruire di Internet pressoché illimitato. Permaneva però la scarsa capacità di discernere la realtà dalle fake news: e WhatsApp era il veicolo ideale per espandere le notizie false o inesatte. “L’aumento della disinformazione in India è direttamente collegato a WhatsApp” ha affermato in proposito Zubair.

Cambiamento digitale

Sempre nel 2016, Modi faceva sapere che le banconote dal taglio più grande sarebbero state eliminate dalla circolazione. Apparentemente il motivo era tentare di contrastare il riciclaggio di denaro, e il risultato è stato l’86% di cartaceo tolto dal circuito monetario. Naturalmente la popolazione si affrettò a cambiare i propri soldi, e nella confusione si generarono le voci più bizzarre: i negozi avrebbero aumentato i prezzi, le nuove banconote erano stampate con un nano GPS. Un po’ come succede nel nostro Paese con il 5G e cose simili, che tanto piacciono ai complottisti.

Finti rapitori di bambini

Le conseguenze però divennero più gravi di così. Nel 2018 circolava una voce che dava per certo l’arrivo dei baccha chors, rapitori di bambini. Questa, rafforzata da video del tutto fuori contesto, ricominciò ad alimentare la paura dei genitori, alla stregua dell’uomo nero che porta via i più piccoli. Alt News scoprì al tempo almeno una trentina di questi video, tutti manipolati artificialmente: nel frattempo però 33 presunti baccha chors erano stati uccisi.

Non è una priorità

Le voci di WhatsApp, spiega ancora Sinha, sono l’esempio più significativo di come gli utenti di Internet inesperti siano delusi dalle persone che più dovrebbero preoccuparsi delle informazioni. “Il governo può affiggere cartelloni pubblicitari oppure può trasmettere notizie alla radio, che è ancora molto popolare. Ma per loro, fermare la disinformazione non è una priorità”.

Disinformazione e social

Parlavamo all’inizio di Twitter. Lo scorso febbraio il social ha sospeso centinaia di account, spinto sicuramente dal governo indiano, di attivisti e giornalisti nel bel mezzo delle proteste antigovernative degli agricoltori. Poco tempo dopo estendeva il suo controllo su tutti i social del Paese. Lo scorso aprile raddoppiava la censura, rimuovendo ogni tweet che documentasse la reale portata della pandemia in India. Difficilmente le stesse restrizioni vengono applicate a chi diffonde false informazioni: soltanto di recente Twitter etichetta come disinformazione i tweet dei politici indiani. Non è però l’unico social a fare poco o niente in proposito.

Facebook e i video fake

Già dal 2013 il legame tra social e fake news era molto stretto. Quel settembre un video, forse girato in Pakistan, lasciava capire che i musulmani si erano rivolti contro gli induisti. La reazione causò 49 morti e 42.000 sfollati, nello stato dell’Uttar Pradesh. L’anno dopo un musulmano veniva picchiato a morte nella città di Pune, a causa di immagini equivoche girate sempre su Facebook. “In India Facebook non fa l’1% di quello che dovrebbe per fermare l’odio, anche quando gli utenti minacciano un genocidio” ha affermato Zubair.

Potenziali collaborazioni

Agli inizi di Alt News, ha spiegato Sinha, sembrava che una connessione tra l’agenzia e Facebook fosse possibile, tanto che i dirigenti lo contattavano per discutere di come combattere la disinformazione. Ma anche il social di Zuckerberg ha diretti legami con il BJP, e le comunicazioni con Alt News si erano interrotte.

Alt News non si ferma

Tutto questo però non ha fermato Alt News. Alcuni giorni riceve fino a 1000 richieste di utenti in un solo giorno, anche se le incitazioni all’odio di molti politici continuano potentemente a intasare i social. E ci sarebbero ancora moltissime cose da dire su questo argomento, virando il discorso sulla gestione della pandemia e cose del genere. La cosa certa è che la strada è ancora lunga, e che giornalisti come Sinha e Zubair corrono molti rischi ogni giorno. Un lavoro difficile, ma necessario.