Allarme plastica in Nuova Zelanda: servono misure urgenti

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Si è portati a pensare che la Nuova Zelanda sia avanti nel riciclo dei rifiuti. Pare invece che così non sia, e che il Paese sia in pieno allarme plastica.

Perché la Nuova Zelanda è in allarme plastica?

I residui di plastica, lo sappiamo, possono essere ritrovati un po’ ovunque, compresi i fondali marini e lo stomaco dei suoi abitanti, spesso con conseguenze letali. La Nuova Zelanda non fa eccezione, complici dei malfunzionamenti nella catena di riciclo. Vediamo il perché.


Riciclo delle materie plastiche sono uguali: ecco a cosa prestare attenzione


Crisi da inquinamento

Cominciamo, come sempre, con qualche dato. Al momento in tutta la Nuova Zelanda ci sono 321 discariche chiuse, vicino alle coste e alle sponde dei fiumi. Sapendo questo, possiamo intuire che tra non molto potrebbero venire gravemente danneggiate a causa dell’innalzamento dei mari e delle inondazioni sempre più frequenti. Ma non sarebbe tutto qui: l’allarme plastica potrebbe derivare anche dalle difficoltà di riciclo. Infatti, le strutture del Paese sono in grado di riciclare solo tre tipi di plastica: le altre, e il materiale contaminato, sono inviate ad altre discariche, o addirittura esportate all’estero. Ciò che viene maggiormente utilizzato, dunque, è la plastica monouso.

La Cina chiude le porte

Solitamente, il problema dell’inquinamento da plastica viene attribuito ai Paesi del sud-est asiatico, divenuti di fatto discariche per i rifiuti dell’Occidente. Ed è storia recente, appena del 2018, il crollo del sistema di riciclaggio occidentale, quando la Cina ha rifiutato di continuare ad importare plastica a tempo indeterminato. L’idea era di prevenire ulteriore inquinamento entro i suoi confini: l’Occidente ha quindi cambiato rotte, mandando i suoi rifiuti verso i Paesi in via di sviluppo. Paesi che ancora non possiedono strutture di riciclaggio adeguate.

Cambi di destinazione

Com’è ovvio intuire, i Paesi in via di sviluppo accettano questa situazione unicamente per denaro, ma in questo modo mettono a rischio la salute della loro popolazione, oltre che aumentare il disordine ambientale. Frequenti sono infatti le pratiche di riciclaggio rischiose, oltre allo scarico e alla combustione dei materiali. È il caso della Malesia, divenuta discarica della Nuova Zelanda, appunto.

Le responsabilità di chi produce

Se però vogliamo ammettere che il consumatore sia in qualche modo complice, se non colpevole, dell’eccesso di plastica in giro, altrettanto dobbiamo dire di chi produce questi prodotti. Si predilige infatti la produzione di contenitori di plastica monouso, più adatta alla nostra vita frenetica: la tendenza dovrebbe invece orientarsi a materiali riciclabili, perché si possa pensare di invertire questa deriva pericolosa. Sempre più spesso, però, i negozi cercano alternative più sostenibili.

Reuseabowl: una soluzione per l’allarme plastica?

Una di queste è Reuseabowl, un’alternativa alla plastica monouso per il cibo da asporto. Già diversi negozi collaborano con questa realtà, offrendo di fatto il prestito della ciotola contenente il cibo. Per la modica cifra di 10 dollari si ottiene il contenitore, ricevendo alla restituzione il rimborso completo.

Un obiettivo importante

La sfida per il governo della Nuova Zelanda è importante: eliminare la plastica monouso entro il 2025, dopo che nel 2019 era entrato in vigore il divieto per le buste della spesa. Parliamo quindi di imballaggi da asporto in polistirolo, posate e piatti, ma anche cannucce e adesivi di frutta. Un primo passo nella giusta direzione, insomma, ma che non elimina l’enorme quantità di plastica ancora presente sugli scaffali, e che probabilmente finirà nei nostri mari e sulle nostre spiagge. La responsabilità dunque è equamente condivisa, e serve un vero cambio di mentalità per invertire la rotta.

Reusabowl.nz