Alitalia, bocciato dai dipendenti il piano di risanamento.

 

 

I lavoratori di Alitalia hanno bocciato ieri il piano di salvataggio della compagnia aerea.      La vittoria del no è stata schiacciante: 6816 voti contrari contro 3206 favorevoli.                     I dipendenti hanno così respinto il preaccordo siglato da sindacati e azienda lo scorso 14 aprile. Nei seggi milanesi di Linate e Malpensa e nello scalo romano di Fiumicino i no hanno riportato un vero e proprio trionfo.

Per i contrari alla proposta di risanamento, il terzo piano di rilancio si configura in realtà come un programma di ridimensionamento, che non presenta prospettive di lungo termine. Assenti infatti investimenti corposi che possano davvero rilanciare la compagnia. Antonio Amoroso, segretario di Cub Trasporti commenta così il risultato del referendum: “La categoria in maniera quasi unanime si è espressa contro l’ennesimo sacrificio, peraltro senza nessuna prospettiva di rilancio della compagnia. Ha respinto il ricatto posto dal Governo e dà voce alla riapertura del confronto”.

Diametralmente opposta la posizione dei fautori del si, consapevoli delle pessime acque in cui naviga l’azienda. Secondo le previsioni infatti, la compagnia sarebbe in grado di  sostenere le spese solo fino a metà maggio, a causa della scarsa liquidità a disposizione. La preoccupazione è che potrebbe rimanere a casa un numero nettamente superiore ai 1700 esuberi previsti dal piano bocciato dai lavoratori.

Immediata la reazione del Governo. In un comunicato congiunto, i ministri Calenda, Del Rio e Poletti esprimono “rammarico e sconcerto” per l’esito del referendum. L’obiettivo di Palazzo Chigi sarà quello di ridurre al minimo i costi per i cittadini e per i viaggiatori, in attesa di capire cosa decideranno gli attuali soci di Alitalia. E’stato infatti convocato questa mattina il Consiglio di Amministrazione della compagnia. Si fa sempre più probabile la richiesta di amministrazione straordinaria, con l’uscita dei soci e la nomina di un commissario. Questa procedura è stata introdotta nel 2003 col crack di Parmalat per le aziende di dimensioni rilevanti e potrebbe prevedere tagli drastici e vendita massiccia degli asset di Alitalia.

Sembrano intanto remote le ipotesi di un nuovo acquirente o di nuovi finanziatori. Più probabile la strada del fallimento della compagnia, con costi che si aggirerebbero intorno al miliardo di euro. Grande incertezza quindi sul futuro di Alitalia, che potrebbe colpire non solo i lavoratori ma anche i viaggiatori, che però potranno volare con la compagnia per tutta l’estate. Anche l’indotto che ruota intorno ad Alitalia e che dà lavoro a circa 10mila persone ne uscirebbe pesantemente compromesso. La vittoria dei no fa così sfumare la prevista iniezione di liquidità nel gruppo di 2 miliardi di euro da parte degli attuali azionisti. La soluzione della nazionalizzazione, con l’ingresso dello Stato in Alitalia, è esclusa dal Governo perché violerebbe le norme europee in materia di aiuti di Stato. L’ opzione più drammatica riguarderebbe la richiesta da parte del Commissario di convertire l’amministrazione straordinaria in procedura di insolvenza, decretando formalmente il fallimento della compagnia.

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