26 aprile 1986: Il disastro di Černobyl’ risuona nel tempo

26 aprile 1986: 34 anni dal disastro di Černobyl

A 18 chilometri dalla città di Černobyl, a 3 chilometri da Pryp”jat‘, in un’Ucraina ancora sovietica, si trova la centrale nucleare di Černobyl. Sono le ore 1.23 della notte del 26 aprile 1986, un incontrollabile aumento di temperatura del reattore 4 provoca una brusca esplosione. E’ il primo incidente classificato a livello 7, ovvero la gradazione più alta. Il secondo avverrà nel marzo del 2011, a Fukushima Dai-ichi, in Giappone.

L’esplosione è dovuta ai test di sicurezza su uno dei quattro reattori produttori del 10% dell’energia in Ucraina. Un errore tecnico, uno sbaglio umano si trasforma nella libera esplosione di grafite, divampa un incendio, libera nell’aria isotopi radioattivi. E’ la nube a spaventare: si diffonde nell’aria occupando l’aria circostante.

336mila persone evacuate. Nella città di Pryp”jat’, i 47mila abitanti lasciano il loro mondo per fuggire in poche ore. Černobyl fu evacuata 36 ore dopo. La nube tossica corre veloce: arriva in Bielorussia e nei Paesi Baltici, poi in Svezia e in Finlandia, e ancora in Polonia, Germania settentrionale, in Danimarca, nei Paesi Bassi, fino al Mare del Nord e al Regno Unito. Tra il 29 aprile e il 2 maggio tocca alla Tra il 29 aprile e il 2 maggio è la volta di Cecoslovacchia, all’Ungheria, alla Jugoslavia, fino Austria, all’Italia settentrionale. Giunge in Svizzera, in Francia sud-orientale, nella Germania meridionale e ancora Italia, stavolta centrale. Tra il 4 e il 6 maggio la nube torna verso l’Ucraina, poi Russia meridionale, Romania, Moldavia, Balcani, Grecia e Turchia.

Le aree dove ha piovuto sono pericolose: cosa contenevano le gocce? Il suolo potrebbe essere già contaminato. E’ il 10 maggio quando il vapore radioattivo si placa, mentre la gente scende in piazza: a Roma 200mila persone richiedono il referendum che porterà, l’anno successivo, all’abbandono dell’energia nucleare.

Le conseguenze dell’esplosione

Il governo ucraino ha tenuto attivi gli altri tre reattori, in alternativa il Paese non avrebbe più ricevuto energia elettrica. Nel 1991 si temette nuovamente il peggio, quando il reattore 2 subì un incendio, dunque venne dimesso. E’ il 15 dicembre 2000: il presidente ucraino Leonid Kučma, a far abbassare, in diretta televisiva, l’interruttore che spegne definitivamente il reattore numero 3, ultimo residuo dell’intero impianto.

I “liquidatori“, reclutati in Bielorussia, Russia e Ucraina tra militari e civili, si occuparono della rimozione dei detriti ed operarono la decontaminazione del sito, per un totale di 600mila persone.

Nel 2003 l’Onu ha convocato un incontro intitolato “Chernobyl Forum“, durante il quale sono state decretate 65 morti dovute all’incidente: due due lavoratori morti sul colpo, uno per trombosi coronarica, 28 tra quei soccorritori che avevano riscontrato una sindrome da radiazione acuta. Altri 19 di loro morti negli anni tra il 1987 e il 2005 e 15 tra quella parte di popolazione che aveva sviluppato un tumore alla tiroide. A ciò si aggiungano i 4 eroici pompieri morti nel tentativo di placare le fiamme.

Studiosi affermano che al disastro di Černobyl sono da imputare tumore e leucemie mortali che hanno accompagnano gli 80 anni successivi all’esplosione.

Le vittime sono anche tutti coloro che hanno riportato deformazioni a seguito dell’esplosione. Sono anche i bimbi nati con malformazioni per un l’avidità di un uomo che mette la salute al secondo posto.

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