Oggi è il 25 novembre 2020. Quest’articolo sarebbe potuto iniziare con mille giri di parole. Ci saremmo potuti domandare quale fosse la data odierna. E magari interrogarci su quale fosse il significato di questo giorno. Invece no. Esistono casi nei quali è bene essere chiari fin da subito. Dunque, ricominciamo: oggi è il 25 novembre 2020, ossia la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. L’origine di questa ricorrenza risale al 1960. Quell’anno, tre donne, le sorelle Mirabal, vennero torturate e uccise da alcuni agenti della polizia. Le vittime si stavano recando verso le carceri di Santo Domingo, dove i loro mariti risiedevano come detenuti. L’evento scatenò l’indignazione generale, tanto da portare alla pena di morte l’ex presidente della nazione. Nel 1981, il 25 novembre si trasformò da commemorazione di quell’accaduto, a giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
25 novembre 2020: com’è cambiato il concetto di violenza nel corso degli anni?
A qualcuno questa domanda potrebbe sembrare bizzarra. Poiché la violenza è sempre violenza. Vero. Tuttavia, il fenomeno ha subito alcune variazioni nel corso degli anni. Facendo un passo indietro nel tempo, possiamo renderci conto che sono molti gli aspetti del fenomeno che sono andati incontro a cambiamenti. Nel bene e nel male. La vita è un fluire sempre in evoluzione. E così tutto ciò che la compone e caratterizza. Vediamo dunque quali sono gli aspetti fondamentali che hanno mutato la parola “violenza” con lo scorrere degli anni.
L’importanza delle parole
Quante volte avete sentito la frase: “Adesso non si può dire più niente che subito ti accusano di violenza”? La risposta, in ogni caso, è troppe. Queste parole all’apparenza ingenue e inconsapevoli, racchiudono una mentalità pericolosa. Se a oggi esistono tipologie di violenza non concepite in passato, non è perché una volta alcuni atti non si verificavano. Né tantomeno perché le donne sono divenute improvvisamente una categoria protetta da difendere a tutti i costi. Il punto è un altro. La violenza è sempre esistita nelle sue pressoché infinite sfumature. Solo che quest’ultime non possedevano un nome specifico. E i nomi danno vita agli oggetti, ai fatti e alle persone. Hanno il potere di rendere visibile ciò che già di per sé esiste, ma che resta nascosto agli occhi di molti.
“Bisogna sempre chiamare le cose con il loro nome. La paura del nome non fa che aumentare la paura della cosa stessa”, diceva Hermione Granger in “Harry Potter e la Camera dei Segreti”. Nulla di più veritiero. Non sempre quest’azione si rivela semplice. Soprattutto per una persona vittima di violenza. Non è facile far corrispondere la propria essenza con quei termini enormi. Con quelle parole pronunciate dai giornalisti televisivi nell’annunciare le tragedie. Eppure è fondamentale. Riconoscere un fenomeno per quello che è ci permette di avere un’immagine più nitida del quadro. E non solo. E’ anche una chiave che la vittima ha a disposizione. Il suo utilizzo: aprire la porta della rinascita.
Sensibilizzazione
Insieme alla consapevolezza, troviamo anche il fattore sensibilizzazione. Le campagne e i progetti che mirano a fare luce sul fenomeno sembrano essere aumentate durante gli anni. Anche il 25 novembre 2020, nonostante la situazione che stiamo vivendo, non arresta la tradizione. Sono numerosi gli eventi online che prenderanno vita durante la giornata di oggi. Sono molti gli attivisti, i professionisti, i centri antiviolenza che faranno sentire la loro voce, sfidando gli ostacoli della pandemia globale. Nel corso degli anni questo agito ha fortunatamente preso sempre più piede. Sebbene tutto ciò possa sembrarci positivo, alcune riflessioni sono comunque dovute. Perché ancora oggi è importante parlare di violenza sulle donne? Come mai questi progetti sono dei veri e propri salvavita? La risposta ce la danno i dati statistici. Nonostante gli aspetti positivi di quest’epoca, il numero delle vittime continua a crescere.
Ecco perché le parole non si devono limitare a poche date l’anno, ma dovrebbero echeggiare a ogni singola rotazione solare. Per fortuna, i tempi sono cambiati positivamente in questo senso. Internet è il migliore amico della sensibilizzazione. Sono molti i content creators che si occupano di dare voce al fenomeno delle violenza al fine di combatterlo. Il pregio maggiore di questo lato è che l’informazione arriva facilmente a chiunque, o quasi. Anche i giovani che usano quotidianamente i social network possono trovare infiniti contenuti riguardanti la lotta contro la violenza. E ciò è di fondamentale importanza, poiché il cambiamento deve proprio partire dagli adulti di domani. Tuttavia, anche la televisione e il mondo dello spettacolo in generale tendono a esprimersi più spesso su queste tematiche. Pare dunque che l’informazione sia sempre più fruibile.
25 novembre 2020: una data che non scorderemo
Quest’anno si è rivelato a dir poco unico. Sappiamo bene che quest’ultimo aggettivo denota un’accezione tutt’altro che positiva. Il peso della pandemia globale schiaccia ancora il mondo intero, mietendo le sue vittime senza pietà. Tuttavia, il virus non ha apportato ripercussioni solo a livello fisico. Di recente si è stimato che il lockdown ha scaturito un incremento dei casi violenza. Molte, troppe donne si sono ritrovate imprigionate nelle gabbie dei loro carnefici. Ciò ha significato, altresì, ulteriori spargimenti di sangue. I centri antiviolenza non hanno mai cessato la loro attività. Anzi, la loro dedizione ha sconfitto ogni barriera, continuando a salvare vite anche a distanza. Il 25 novembre 2020 segnerà una data storica anche da questo punto di vista. Si combatterà tenendo a mente una nuova consapevolezza: combattere la violenza si può e si deve. Non esiste ostacolo che possa fermare la lotta.
Purtroppo non è tutto. Se da una parte siamo consapevoli di nuovi punti di forza, dall’altra non dobbiamo sottovalutare i dati. Abbiamo appena detto che la situazione Covid-19 non ha fatto che incrementare i casi di violenza. Questi dati ci confermano una realtà scoraggiante. Quella del silenzio. La violenza utilizza spesso la parola non detta, la bocca tappata, la lingua frenata. Rende taciturne le sue vittime, affinché risultino più manipolabili e accondiscendenti. Spesso addirittura sembra riesca ad annullarle. Provate dunque ad apportare altro silenzio a uno spazio già di per sé muto. Ciò che si ottiene è un silenzio assordante. E’ bastato che il mondo si fermasse per far sì che il mostro diventasse più forte. Ciò ci suggerisce che per sconfiggerlo dobbiamo urlare forte. Al fine di spaventarlo a morte e scacciarlo via per sempre.
Quali sono gli aspetti su cui dovremmo riflettere durante il 25 novembre 2020?
Più che riflettere dovremmo dire lavorare. E, naturalmente, non si tratta di un compito assegnato giusto per oggi, bensì un impegno a lungo termine. Perché se la violenza è ancora un fenomeno così tanto potente, noi dobbiamo essere più forti di lei. Un giorno all’anno non è sufficiente per metterla al tappeto. Neanche due. A dire il vero non bastano neanche le parole. E’ necessario passare ai gesti. Bisogna instillare alcune modifiche alle nostre azioni quotidiane, al nostro agire, al nostro stesso vivere, per combattere questa battaglia. Perché quando si parla di violenza sulle donne, si mette in discussione un intero meccanismo di ingranaggi ancora troppo oleati, nonché montati ad hoc per funzionare al meglio. Oggi, 25 novembre 2020, smontiamo insieme questo sistema. Vediamo quali sono gli aspetti che ancora hanno bisogno di miglioramenti.
“Not all men”
Ogni volta che un caso di cronaca riguardante una violenza rivolta a una donna diventa virale, è sempre la stessa storia. Un signore agisce catcalling nei confronti di una passante. Un uomo violenta una ragazza. Un marito uccide la consorte perché non accetta che quest’ultima sia una persona, e non un oggetto da possedere. Risultato? Una serie di commenti fuorvianti da parte di alcuni individui di genere maschile. “Io non lo farei mai”, “Non tutti gli uomini sono così”. Nessuno vuole screditare queste parole. E’ vero che molti uomini non maltratterebbero mai una donna, in nessuna maniera. E’ altrettanto vero, quindi, che non tutti i maschi agirebbero così. Peccato che portando avanti questa mentalità, si tenda a non focalizzarsi su alcuni punti fondamentali. Innanzitutto, nel momento in cui si verifica un atto di violenza, qualunque esso sia, è importante fare luce sul maltrattante.
Ciò non significa che la vittima venga in secondo piano. Tutt’altro. Dobbiamo però comprendere l’utilità di concentrarsi sul carnefice. In modo da poter visualizzare meglio lui e il suo agito violento. Se alla sua figura sovrapponiamo il fatto che non tutti gli uomini si comporterebbero così, ecco che creiamo il rifugio perfetto per l’aggressore. Lo rendiamo un caso su un milione. E dato che la violenza sulle donne è una tragedia in aumento, non è pensabile che nonostante molti signori rispettino le signore, i maltrattanti siano così pochi. Senza contare il fatto che queste frasi tossiche non fanno che santificare la normalità. Non credete che se un uomo rispetta una donna in quanto essere umano, non la maltratta, non la umilia, non è violento nei suoi confronti in alcun modo, sia semplicemente normale? Avere riguardo del prossimo è la base per considerarsi un cittadino civile, non un’azione da premio Nobel.
Violenza sessuale all’interno della coppia
Fin dalla più tenera età, l’amore ci viene disegnato come uno dei valori più importanti in assoluto. Si insegna soprattutto alle bambine a sognare il cosiddetto principe azzurro. S’impartisce il pensiero che tra le braccia del nostro lui troveremo una famiglia. Magari diversa da quella d’appartenenza, ma nella quale ci sentiremo protette e amate. Questo scenario, nei migliori dei casi, può considerarsi vero. Peccato che non sempre la famiglia sia quel luogo accogliente e amorevole, nel quale ci sente al riparo da ogni pericolo. Specialmente per quanto riguarda le relazioni di coppie eterosessuali, vi sono ancora parecchi stereotipi e mentalità dure a morire. Uno di queste riguarda la sessualità. Troppo spesso si guarda all’atto sessuale come a un bisogno fisiologico proprio dell’uomo, che deve essere sempre e comunque soddisfatto.
Sebbene anche quest’istinto faccia parte della natura umana, non deve mai essere visto come un obbligo. Ancora oggi molte mogli e compagne si sentono costrette ad appagare il partner, anche se controvoglia. Magari lo fanno perché “tutto ciò gli è dovuto”. Esistono casi in cui si scende a compromessi sessuali per placare l’ira dei compagni. E la cosa più grave è che queste azioni vengono ancora oggi, 25 novembre 2020, giustificate da molti media. Così facendo si va a infangare la realtà. Ossia, che tutto questo scenario ha un nome: stupro. Questo tipo di violenza non ha luogo solo per strada. Non viene agita solo per mano di sconosciuti. Anzi, si stima che la maggior parte delle violenze sessuali avvengano all’interno di coppie stabili.
Il 25 novembre 2020 si parla ancora di victim blaming
“Se l’è cercata”. Era ubriaca”. “Indossava una minigonna”. “Se ne andava in giro da sola alle due di notte”. “Stava con un compagno palesemente violento, doveva fuggire prima“. Queste sono solo alcune delle frasi tipiche di questa violenza. Già, perché si tratta di una violenza nella violenza. Oggi, 25 novembre 2020, ci troviamo ancora a dover combattere contro il fenomeno della colpevolizzazione della vittima. Quando si verifica un atto violento non manca mai una TC total body del soggetto colpito. Si mette in discussione l’età, l’abbigliamento, lo scenario dov’è avvenuto il fatto, l’atteggiamento dell’individuo ferito. Mai che ci si concentrasse sul carnefice. Mai che ci si chiedesse cosa l’abbia spinto ad agire così, che ci si domandasse cosa stiamo insegnando di sbagliato ai nostri figli per ritrovarci ad assistere a tali oscenità. Mettiamolo nero su bianco: la vittima non è mai colpevole. La colpa è sempre e solo del maltrattante.
Famiglia e carriera
Si tratta di uno stereotipo portato avanti da anni e anni. Ancora oggi succede troppo di frequente che le donne si sentano in dovere di scegliere tra un lavoro, magari che le appassiona, e il sogno della maternità. Vengono propinate sempre in maniera maggiore soluzioni di smart working femminile. Non che ci sia nulla di sbagliato in queste tipologie di mestieri. Solo che vengono proposte spesso come la soluzione perfetta per conciliare lavoro e famiglia. In un certo senso, e per molte donne, queste possono rappresentare risoluzioni efficaci. Il problema è un altro. Quante volte sponsorizziamo queste opportunità agli uomini? O meglio, ai padri? Poche. Anzi, addirittura questi impieghi vengono sovente denominati come “lavori femminili”. Questo accade perché ci stiamo ancora portando appresso una mentalità retrograda. Quella secondo la quale all’uomo spetta guadagnare e alla donna occuparsi della prole e della casa.
Tuttavia, non si tratta solo di questo. Lo sappiamo, fortunatamente le signore che riescono a conquistare con fatica la carriera dei sogni non sono poche. Solo che anche qui le ingiustizie non mancano. Ancora oggi molte ragazze testimoniano di colloqui lavorativi durante i quali viene domandato loro se hanno dei figli o se hanno in programma di averne. Nel ventunesimo secolo dobbiamo ancora sentire di ricatti sessuali o altri tipi di violenze da parte dei datori di lavoro nei confronti delle dipendenti. Oggi, 25 novembre 2020, alcune amiche ci raccontano ancora di quanto il loro stipendio sia più basso rispetto a quello dei colleghi maschi che svolgono il loro stesso lavoro. Un quadro a dir poco agghiacciante, considerando che viviamo nell’epoca nella quale basta un click per avere il mondo in mano.
La sindrome dello strofinaccio
Parlando di ruoli di genere, non può mancare questa patologia. Non si tratta di una malattia organica. Tuttavia, stiamo parlando di un mostro che entra nelle viscere della donna manipolandole le sinapsi cerebrali. Le fa credere che certi atteggiamenti sbagliati da parte del suo compagno di vita siano normali e giustificabili. Questo perché “Poverino, è stanco”. Oppure perché “Io sono la moglie, dunque spetta a me occuparmi delle faccende domestiche e dei bambini. Questi sono lavori da donna”. No. Sbagliato. In una coppia vi sono alcune cose che dovrebbero appartenere o a una o all’altra persona. Peccato che tra questi beni non raffigurino né la casa in cui si abita né i figli che si hanno in comune. Questi sono aspetti che vanno divisi in egual misura.
Certo, nessuno chiede a un uomo di pulire la dimora da cima a fondo se rincasa dopo dodici ore di lavoro. Si tratta semplicemente di trovare un equilibrio. Tenendo a mente che non esistono mansioni da donna o da uomo. Non è comunque finita qui. E’ ovviamente giusto essere grati a vicenda. E’ sacrosanto mostrare la propria riconoscenza quando il nostro partner dimostra di tenere a noi attraverso piccoli gesti domestici. Tuttavia, vietato dire “mio marito è bravissimo, mi aiuta spesso in casa”. Quel “mi aiuta” fa comunque passare il messaggio che il compito sia proprio della donna, e che l’uomo le faccia la grazia di darle una mano ogni tanto. Al contrario, come detto precedentemente, la rassettatura della propria abitazione è un compito comune, mai esclusivo.
Oggi, 25 novembre 2020, diciamo stop alla normalizzazione della violenza
Questo 2020 ha donato a tutti noi nuove consapevolezze. Tra queste, vi è quella riguardante il concetto di normalità. Abbiamo ormai compreso che si tratta di un principio piuttosto soggettivo. A volte un poco grottesco. Ormai è diventato normale girare per vie con una mascherina sul viso. Come lo è divenuto disinfettarsi le mani ogni tre per due. Dunque, un determinato fatto, per diventare normale, deve accadere di frequente. Deve trasformarsi in un’abitudine. Da questa premessa, possiamo ben intendere perché non è sano che la violenza divenga normale. Eppure, in un certo senso, è proprio ciò che sta accadendo ancora oggi. Questo fenomeno possiede aculei sottili e affilati. Riesce a infiltrarsi nei tessuti più fini senza farsi notare. Ecco perché è così duro da mettere a k.o.
Ci troviamo nel ventunesimo secolo, e ormai sappiamo che la violenza non si attua solo attraverso gli schiaffi e le urla. Questo mostro agisce ogni volta che una donna rinuncia ai propri sogni perché il suo compagno glielo impone. Quando una ragazza si convince che, in fondo, fare la mamma e la moglie a tempo pieno sia l’ambizione più giusta per lei, per dovere e non per scelta personale. Quando si isola, o meglio, viene isolata dal partner. Mantiene contatti sempre più labili con amici e familiari perché il compagno l’ha convinta che si tratti di persone tossiche, che la rendono peggiore. La lista sarebbe lunga. Il lavaggio del cervello appioppato alle donne va avanti da troppo tempo per essere riassunto in poche righe. Ciò che possiamo fare per combattere questa violenza è prendere in mano le redini della nostra vita, senza permettere a nessuno di farci inciampare.
La scelta della maternità
Eccoci arrivati a un punto scottante. Per quanto per alcune donne la maternità rappresenti un dono enorme, dobbiamo comunque accettare che non per tutte sia così. Esistono persone di genere femminile che non desiderano procreare. Vi sono ragazze che vorrebbero a tutti i costi un bambino, ma che magari a causa di una determinata condizione fisica non ci riescono. Ci sono signore che rimangono incinte, ma che per motivi personali che non sono tenute a sbandierare scelgono d’interrompere la gravidanza. Altre che invece vanno incontro a un aborto spontaneo, del quale soffrono ancora e sul quale dunque preferiscono tacere. Insomma, i volti della maternità sono infiniti. Il punto è che ognuna è padrona del proprio corpo. E nessun altro può decidere o giudicare le scelte che facciamo per esso.
Vi è inoltre un altro stereotipo del quale vale la pena parlare. Molti maschi, spesso in occasione dell’8 marzo o del 25 novembre, elogiano la donna con una frase solo all’apparenza gradevole. “La donna è più forte dell’uomo perché è capace di partorire. E mettere al mondo un bambino comporta un dolore immenso”. Nessuno mette in discussione i dolori del parto. Tuttavia, come possiamo pensare che queste parole possano anche solo lontanamente rafforzare il genere femminile? Non si può rappresentare la forza delle donne attraverso un’azione che non tutte desiderano compiere, o della quale non tutte hanno la possibilità di fare esperienza. Piuttosto, cerchiamo di valorizzare la donna in quanto essere umano meritevole di diritti quanto l’uomo. Senza forzarla nei panni di una presunta Wonder Woman.
Inclusione
Fra le varie tematiche che vale la pena rivalutare durante questo 25 novembre 2020, non manca l’inclusione. Parliamo di diritti delle donne. Di violenza sulle donne. Quali donne, però? Purtroppo la risposta non è così scontata. Sarebbe bello apporre un “tutte” e chiuderla lì. Invece la questione non è così semplice. Ancora oggi, nel discutere di quest’argomento, non si tengono in considerazione alcune categorie femminili. Ad esempio, le donne transgender. Oppure quelle da un colore di pelle diverso rispetto alla carnagione occidentale. O ancora, le signore disabili, o quelle con un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità. Non è naturalmente finita qui. Questo millennio ha sviluppato il femminismo intersezionale. Quel movimento che comprende l’inclusione di qualsiasi essere umano nelle lotte contro la violenza di genere. Tuttavia, sembra che ci sia ancora molta strada da fare. Dunque, cerchiamo di pensare più in grande. Includendo, non escludendo.
Sorellanza
Avete presente quando da bambini ci propinano la favoletta del “tutti siamo uguali, tutti dobbiamo volerci bene”? Ecco, ciò non è del tutto vero. In realtà tutti siamo diversi gli uni dagli altri. E per fortuna, poiché la diversità non è altro che un valore aggiunto, una ricchezza. Tuttavia, quando si parla di violenza di genere, si dovrebbe cercare di andare in un’unica direzione. Succede ancora troppo spesso che le donne si giudichino le une con le altre. Si critichino di continuo. Magari anche nel bel mezzo di situazioni alla stregua del difficile. E se invece ci comportassimo un po’ meno da rivali e un po’ più come sorelle? I risultati potrebbero rivelarsi straordinari.
Oggettivazione del corpo femminile
L’uomo, per natura, prova sentimenti ed emozioni. Raramente le tiene racchiuse esclusivamente dentro sé, ma tende piuttosto a trasmetterle. A farle coincidere con persone, animali, oggetti. Peccato che i tre soggetti non possano essere confusi tra di loro. Nei primi due casi si parla di corpi animati, nel terzo naturalmente no. Purtroppo succede ancora troppo spesso che le cose si mescolino in modo malevolo. Ancora oggi le donne sono spesso trattate come oggetti. In questo caso non stiamo dunque parlando di sentimenti ed emozioni. Piuttosto di pensieri malsani e gestualità. L’oggettivazione ha varie sfaccettature. La si mette in pratica ogni volta che una donna viene abusata sessualmente. Quando si guarda una signora e la si considera solo per la scatola che contiene il suo cervello.
E non solo. La donna diventa un oggetto anche ogni volta che un uomo si permette di parlare liberamente del suo organismo, di giudicarlo, senza minimamente rendersi conto del significato di quelle parole. Come può un soggetto che non ha mai provato sulla propria pelle le mestruazioni, l’aborto, la gravidanza o altre situazioni tipicamente femminili, dettare legge su tutto ciò? Eppure questo succede con una frequenza allarmante. Anche in Italia.
Parità di genere
Oggi, 25 novembre 2020, parliamo anche di parità di genere. Questo concetto troppo spesso sottovalutato è in realtà la base per un futuro roseo e civile. Di questi tempi, la visione binaria che distingue uomo e donna dovrebbe essere calata. In parte è così, ma non del tutto. Persiste ancora la mentalità secondo la quale ai maschi spettino certi aspetti della vita e alle femmine altri ancora. E se invece facessimo cadere queste barriere? Così facendo si attuerebbe la quinta ondata di femminismo. Ecco che allora donne e uomini avrebbero pari diritti e pari doveri. Ed ecco che non parleremmo più di violenza di genere.
Mentalità retrograda e fraintendimenti
Come dicevamo all’inizio di quest’articolo, i vari volti della violenza si sono distinti attraverso un processo lungo anni, e ancora in corso. Questo non perché un tempo certi atti non avvenissero, ma perché si è tardato nel dare un nome a queste tragedie. Oggi il mondo si divide tra chi non capisce e chi non vuol capire questi neologismi. Prendiamo la parola femminicidio. Questo termine non delinea il qualsiasi omicidio di una donna, bensì la sua uccisione a causa del suo genere d’appartenenza. Si parla di femminicidio quando una donna subisce una serie di violenze e maltrattamenti che finiscono poi con la privazione della sua stessa vita. Ecco perché questo termine non disegna una categoria privilegiata di defunte. Questo 25 novembre 2020 cerchiamo di fare chiarezza lessicale, e ci si aprirà un mondo davanti.
La donna scardinata dall’uomo
Eccoci di fronte a un’altra mentalità dura a morire. Sono ancora molte le persone convinte che la felicità si raggiunga solo ed esclusivamente attraverso una relazione di coppia. Oppure, che in fondo una donna debba “per natura” condividere la vita con uomo. Eppure, i dati ci dicono che non è esattamente così. Esistono donne che respirano a pieni polmoni, sane come pesci, soddisfatte e appagate dalla propria esistenza, senza una figura maschile che le affianchi. Magia? No, realtà. Basta guardarsi attorno per accorgersene. Questo non significa che la donna che scelga una relazione eterosessuale sia sbagliata. Per nulla. Semplicemente, dovremmo comprendere che vivere in una coppia è una scelta. Non un obbligo. Non un dovere. Nemmeno una scontata fonte di felicità. Anzi, esistono signore che non avvertono per nulla il bisogno di avere un uomo al proprio fianco.
25 novembre 2020: non è mai troppo presto per imparare, ma potrebbe diventare troppo tardi per rieducare
In questo paragrafo ci riagganciamo al cuore pulsante della speranza. Gli adulti del domani. La violenza sulle donne è un fenomeno dalle origini talmente tanto radicate, che è necessaria una rivoluzione dell’intero sistema mondiale per sconfiggerla. Per quanto possa sembrare complicato, noi abbiamo un asso nella manica. Non ci è consentito modificare il passato, ma possiamo modellare il futuro. Attraverso la cultura e l’educazione. Educando i bambini alle pari opportunità e ai pari doveri. Impartendo loro una mentalità inclusiva e accogliente, senza alcun stereotipo di genere. Insegniamo ai piccoli a seguire i loro sogni. Cerchiamo di dare loro il buon esempio. Coinvolgiamoli in egual misura nelle faccende domestiche. Evitiamo di metterli di fronte alle barriere dei “giocattoli da femmina o da maschio”.
Educare è amare
Lasciamo che siano loro, i bambini, a scegliere i giocattoli con cui vogliono svagarsi e i colori che vogliono indossare. Facciamo presente alle bambine che, proprio come i loro amichetti maschi, la loro priorità è la realizzazione personale, qualunque essa sia. Facciamo comprendere loro che le possibilità sono uguali per ogni genere. Pratichiamo la gentilezza nei loro confronti. Insegniamo loro che le persone vanno rispettate in quanto tali, senza alcun tipo di distinzione. E poi amiamoli. Di un amore sano. Mostrando ai loro occhi che questo sentimento non esclude, non urla, non alza le mani. “It’s a long way to the top if you wanna rock’n’roll!” cantavano gli AC/DC. Sì, è lunga la strada, se si vuole arrivare a fare rock’n’roll. Noi, però, non abbiamo paura. Imbracciamo la chitarra come delle rockstar, facendo sì che il frastuono arrivi fino al cielo. Affinché copra il rumore della violenza.
Altri riferimenti utili:
- Progetto “Io sono Alice”: insieme contro la violenza;
- Il femminicidio non è un omicidio qualsiasi: perché?;
- Difendersi dal catcalling: come si fa?;
- Catcalling: forma di violenza, altro che complimento;
- Victim blaming: da Ferrara l’ennesimo episodio;
- Femminismo intersezionale: la nuova frontiera femminista;
- Leggere contro la violenza: armarsi di cultura;
- Le ondate del femminismo: dalla prima alla quinta;
- He for She: insieme per la parità di genere;
- Gesù Cristo sono io: combattere la violenza.