venerdì, Marzo 29, 2024

Violenza in diretta: Facebook come nuova scena del crimine

Da ieri la polizia statunitense sta cercando Steve Stephens, killer che ha assassinato un 74enne per strada, riprendendo il violento atto e postandolo in diretta su Facebook. Poi, sempre sul social, l’assassino ha dichiarato di aver commesso almeno altri 15 omicidi.

Ogni azione sul web come like, post, tweet , lascia delle “tracce del nostro Sè”, frammenti della nostra identità , a nostra insaputa che non possiamo controllare e dunque cancellare. E’ quello che il sociologo De Kerchkove definisce “inconscio digitale”. Tale fenomeno rappresenta oggi la quotidianità e quindi ogni aspetto della vita sociale: ciò può generare invidia e trasformare un semplice utente in una cyber vittima del tutto inconsapevole .

Nell’era digitale , della cultura della partecipazione e della condivisione, dove il concetto di privacy e di pubblico, a fatica, anche giuridicamente parlando, riusciamo a ridefinire, questo può essere molto pericoloso.

“Raccontarsi e mostrarsi” nei social, in particolare attraverso l’autoscatto, è oggi una moda di massa: psicologi e sociologi li definiscono “atti egoistici” o “tentativi di auto-celebrazione” in una società dove, chiunque, sembra aver aderito ad una cultura della fama.

Qualsiasi barriera oggi tra privacy, violenza, identità delle vittime o di un criminale, immagini o notizie su minori, sembra essere abbattuta: niente più limiti e tutele. Il fatto che si stia vivendo in una società tecnologica e violenta, dell’immagine e dell’esibizionismo ce lo dimostrano questo fatto di cronaca e gli ultimi attacchi terroristici o casi di violenza domestica nel mondo, dove concluso l’atto violento, segue il famoso video/selfie da parte dell’autore del reato con la vittima, condiviso poi pubblicamente sui social network per una necessità “patologica” di visibilità. Ecco che il contenuto mediale diventa “atto criminale e scena di un crimine” ora pubblica, visibile ed accessibile a tutti virtualmente.

Per il criminologo David Garland, in particolare la società inglese ed americana, sono divenute oggi “società ad elevata criminalità”, nel senso che sono caratterizzate non da un effettivo aumento del crimine, ma ciò che è aumentata è la percezione della criminalità e dell’insicurezza dei cittadini. Ciò, afferma Gardland, è dovuto al troppo peso che i media attribuiscono al crimine nella loro narrazione del sociale; alcuni crimini diventano “crimini segnale”, ovvero un indice dello stato di una società e dell’ordine sociale.  L’attenzione dei media sui crimini e l’utilizzo inconsapevole e criminale dei social media, rischiano seriamente di trasformare questa pratica in una patologia sociale e virtuale e un tentativo macabro di ricerca della celebrità sul web.

Il pedagogista americano Henry Giroux, parla di “cultura della crudeltà” in seguito non solo alla spettacolarizzazione, ma ad una “raffinata de-selezione di ciò che vediamo”.

La violenza in tv e in Rete diventano dunque quotidiane narrazioni trans-mediali che forse garantiscono, con troppa facilità,  una semplice e violenta  entrata nel mondo della micro-celebrità virtuale.

 

 

 

Giacomo Buoncompagni
Giacomo Buoncompagni
Buoncompagni Giacomo. Aspirante giornalista scientifico. Laureato e specializzato in comunicazione pubblica e scienze sociali -criminologiche. Collaboratore di Cattedra presso l'Università di Macerata. Presidente provinciale Aiart Macerata. E' autore di "Comunicazione criminologica" e "Analisi comunicazionale forense" (2017)

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