C’era una volta la moda italiana sinonimo del made in Italy, simbolo di tradizione; ma mentre il brand Versace è solo l’ultimo, di una lunga lista di aziende italiane vendute a società straniere; viene da chiedersi: quando compriamo italiano stiamo ancora comprando made in Italy?
Risale al 1978 la fondazione del brand Versace; 40 anni dopo la sorella Donatella ha deciso di vendere l’azienda al colosso americano Micheal Kors, mantenendo comunque una percentuale sull’azienda e il suo ruolo all’interno del processo creativo.
Eppure il brand Versace non è la prima azienda italiana a doversi adattare all’attuale mercato globale ma solo l’ultimo di una lunga lista.
Dal 2008 al 2012 ben 437 aziende italiane sono state vendute a holding straniere, tra questi numerose aziende tessili italiane.
Come Buccellati passata al gruppo Gansu Gangtai holding, specializzati nella vendita di alta gioielleria con un fatturato di 377 milioni; hanno pagato all’azienda italiana 6,6 volte tanto il loro fatturato (un record per il settore).
Anche la maison Krizia, storico marchio della moda italiana; nel 2014 è stata venduta alla Shenzen Marisfrolg Fashion sotto la direzione creativa di Zhu ChongYun, presidente della società.
Nel frattempo solo Renzo Rosso con la sua OTB – Only The Brave mantiene il controllo creativo ed economico su una serie di brand: Diesel, Marni e Maison Martin Margiela.
Mentre sempre più aziende di moda scelgono di vendere.
Cosa è cambiato nel settore della moda italiana?
In un periodo di crisi come quello attuale è sempre più difficile per gli imprenditori della moda mantenere gli alti livelli di qualità.
Economicamente parlando, non basta più creatività e innovazione per mantenere un certo fatturato; ecco perchè si preferisce vendere ai colossi internazionali, ben consapevoli delle possibilità di guadagno.
Nel 1990 avvenne il primo caso, il marchio Fiorucci passa dai fratelli Tacchella di Carrera Jeans alla società giapponese Edwin International ( 8 marchi di proprietà e 6 in licenza).
Un altro caso interessante quello della famiglia Gucci che nonostante gli anni di crescita che avevano portato a rilevare anche grossi nomi internazionali come: YSL, Sergio Rossi, Bottega Veneta, Alexander McQueen e Balenciaga; nel 2013 Gucci è passato sotto la gestione del gruppo francese Kering.
Medesima conclusione per nomi come Valentino e Missoni, acquistate nel 2012 dalla società araba Mayjoola for Investment del Qatar.
Un passaggio di proprietà che nonostante la perdita per la cultura tessile italiana si traduce in un notevole sviluppo economico.
Oltre ad aver portato la qualità dei brand made in italy a livelli internazionali, tutto questo mantenendo la qualità del nome.
Grazie alla scelta di non de localizzare le aziende, poiché consapevoli che determinati prodotti sono impossibili da riprodurre altrove.
Il settore del moda italiana, in Italia
Il made in italy si adatta e muta.
In un periodo storico in cui il mercato economico mondiale è in continuo mutamento; l’Italia si riconferma come una certezza di creatività e tradizione.
Un settore, quello del made in Italy, che nel 2017 si è classificato 7° al mondo come reputazione; con un punteggio pari a 84 su 100 grazie all’autenticità e al design eccellente.
L’espressione made in Italy, rappresenta la qualità, la creatività e l’inventiva .
L’ espressione fu imposta ai produttori italiani negli anni ’60, da Francia e Germania, per indicare ai loro cittadini che i prodotti non erano realizzati nelle proprie nazioni.
Il successo del made in Italy è stato ed è ancora oggi sinonimo di alta qualità.
I mutamenti di questi anni non sono altro che l’inizio di un processo di integrazione internazionale che permetterà al settore di mantenere la propria posizione, stimolandone lo sviluppo; grazie a quella tradizione artigianale tutta italiana che il mondo ammira e ama.