giovedì, Marzo 28, 2024

Rimossa a Budapest la statua di Imre Nagy, il significato della cancellazione di un simbolo

All’alba dell’ultimo venerdì del 2018 la statua di Imre Nagy è stata rimossa. Il monumento che fino a ieri era in Piazza del Parlamento a Budapest, rappresentava il capo della rivolta Ungherese del 1956. Definito dagli esponenti del governo Orban come un comunista tra i peggiori, considerato eroe nazionale degli ungheresi.

La decisione presa dal governo Orban fa discutere. Cancellare un simbolo tanto significativo per la memoria storica e l’identità comunitaria dell’Ungheria esprime la volontà del governo Orban di ridisegnare i processi storici e culturali che si sono manifestati fino ad oggi.

Un gesto forte. La lotta culturale contro i valori del liberismo prosegue e, a poche settimane di distanza dall’emanazione delle leggi che hanno portato l’Ungheria in piazza a manifestare per giorni, questa è l’ulteriore decisione di un governo che non sembra intenzionato a rivedere i proprio piani di azione.

Imre Nagy, chi era e perché il suo monumento è stato rimosso?
Nagy è stato un uomo politico ungherese che avuto un ruolo attivo nel corso della rivoluzione del 1956.

La sua vita è stata piena di eventi importanti, durante della prima guerra mondiale venne imprigionato in Russia dove aderì al bolscevismo. Dopo il suo ritorno in Ungheria fu costretto all’esilio in seguito all’esperienza della repressione comunista del 1919. Tra il 1930 e il 1944 risiedette in URSS ed entrò a far parte della dirigenza del partito comunista ungherese in esilio.

Al suo rientro in Ungheria divenne prima ministro dell’Agricoltura, 1944-45, poi degli Interni, 1945-46 e avviò la riforma della proprietà agraria. Nel 1949 si oppose alla politica di collettivizzazione dell’agricoltura perseguita dalla direzione del partito guidato da Rakoski. Quando venne investito della carica di primo ministro nel 1953, Nagy adottò una politica riformista che fu fortemente contrastata dallo stesso Rakoski e nel 1955 fu allontanato dal governo ed espulso dal partito, nel quale fu riammesso proprio nel 1956 e, nuovamente primo ministro, si trovò a gestire la crisi rivoluzionaria ungherese.

La rivoluzione del 1956 fu una rivolta armata di spirito anti-sovietico che ebbe inizio il 23 ottobre quell’anno. Venne contrastata dall’Autorità per la Protezione dello Stato, AVH, e infine repressa dalle truppe sovietiche.

La rivolta, nata come manifestazione a sostegno degli studenti manifestanti in Polonia, a Poznan, si trasformò in un grido di opposizione contro Rakoski e la presenza sovietica in Ungheria. Nagy, nominato Primo Ministro dal Partito Ungherese dei Lavoratori, interpretò le istanze dei manifestanti facendole proprie con la volontà di concedere parte di quanto richiesto consapevole della necessità di un’evoluzione nella polita del suo paese.

Il 3 novembre, durante la ripresa dei colloqui di trattative con i sovietici in merito al ritiro dell’Armata Rossa, il ministro della difesa fu arrestato con tutta la delegazione ungherese dalle truppe del KGB. La sera successiva, il 4 novembre, Nagy trovò rifugio nell’ambasciata iugoslava ma, per l’accordo intervenuto tra Broz Tito e Chruŝčev, il 22 novembre venne consegnato ai sovietici.

Nell’atto d’accusa del Ministero dell’Interno Nagy era ritratto come l’istigatore di un gruppo di traditori che avevano tentato di prendere il potere. Non era richiamato il tentativo di Nagy di restaurare il sistema e le sue posizioni furono analizzate solo in chiave nazionalistica. Furono gli equilibri e i giochi di potere in atto in quel periodo a condurre Nagy sotto un processo che non si distinse per la correttezza del giudizio dell’imputato.

Nel corso del processo l’atteggiamento di Nagy, conscio e rassegnato, volle essere un’eredità per il futuro. Parlò di se stesso senza tentare di respingere le accuse con l’intento di restituire ai posteri una corretta percezione della sua persona e del suo operato nella politica. In quelle aule ha restituito un messaggio intenso di giustizia e di diritto alla giustizia che nel contesto della nuova legge sui tribunali in Ungheria sembra più che mai attuale.

Nel 1958 la sentenza di condanna a morte fu messa in atto. Nagy fu impiccato ma le sue azioni non cessarono di avere risonanza e nella memoria storica dell’Ungheria rappresenta il simbolo della resistenza e del coraggio contro tutti i governi che vogliono privare della libertà gli individui che dovrebbero tutelare e che costituiscono il proprio paese.

La statua ha quindi rappresentato non solo gli ideali ma la volontà di un paese di contrastare una politica opprimente ed è emblematico questo gesto da parte del governo ungherese. Voler eliminare il passato è sinonimo di chiusura e l’attuale governo sembra proseguire su una strada che preoccupa l’opinione pubblica. Dalla legge-schiavitù a quella sui tribunali, fino alla rimozione della statua di Nagy, voler ridisegnare il presente non tenendo conto delle tracce del passato.

Chiedersi quale sarà la prossima mossa del governo Orban sorge spontaneo. Nell’attesa è utile ricordare che non è possibile censurare un sentimento collettivo, nemmeno portandone via la rappresentazione fisica. Il senso di appartenenza e l’identificazione in un ideale è tanto collettiva quanto intima e profonda ed è proprio la storia a ricordare che la repressione conduce alla consapevolezza di dover rivendicare i propri diritti lottando per un presente e un futuro migliori.

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