giovedì, Aprile 25, 2024

Dolce & Gabbana, il pg chiede l’assoluzione: «Il fatto non sussiste»

Il procuratore generale di Milano Gaetano Santamaria Amato a sorpresa ha chiesto di assolvere Domenico Dolce e Stefano Gabbana, «perché il fatto non sussiste», dall’accusa di omessa dichiarazione dei redditi per la quale erano stati condannati, in primo grado, a un anno e otto mesi nel giugno 2013. Per il rappresentante della pubblica accusa, «una condanna penale contrasta col buon senso giuridico». Ai due creatori di moda viene contestata una complessa operazione finanziaria del 2004 con la quale Dolce e Gabbana, all’epoca proprietari del 50% dei marchi, li cedettero a una società lussemburghese, la Gado srl. Un’operazione di esterovestizione che, secondo l’accusa, sarebbe servita per evadere il fisco italiano. La richiesta è arrivata nel processo di Appello.

Il ruolo degli stilisti
Gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono «impegnati tra stoffe, modelli, modelle, ricevimenti, sono dei creativi e non me li immagino a gestire schemi di abbattimento fiscale». Lo ha spiegato il sostituto pg di Milano Gaetano Santamaria. Secondo il magistrato gli stilisti non avrebbero creato una società fittizia in Lussemburgo, la Gado srl, per evadere il fisco, ma questa società avrebbe avuto «un’effettiva operatività» nel Granducato. «La Guardia di Finanza e i giudici di primo grado hanno sostenuto che la Gado non avrebbe svolto la sua attività in Lussemburgo perché era domiciliata in angusti locali, non aveva dipendenti e non vi era la prova che i cda si svolgessero all’estero». Questa tesi, tuttavia, viene confutata dalle «prove testimoniali nel dibattimento» di primo grado. «Queste prove non entrano nel processo tributario – dice il pg con tono accorato – ma, santiddio, entrano nel processo penale e non le guardiamo?». «Tutti i testi, quelli ammessi e quelli che avrebbero potuto essere ammessi, dicono che la sede era operativa in Lussemburgo e adeguata alle esigenze». Inoltre, per il pg «c’è bisogno di un salto culturale: davvero vogliamo credere che le sedi delle società devono avere strutture faraoniche?».

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