A SEMAFORI SPENTI – Lewis Hamilton, il profilo del campione

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Non serve essere appassionati di Formula Uno per conoscere il nome di Lewis Hamilton, campionissimo del panorama motorsportivo e rock star dei paddock.
Una carriera, quella del ragazzino caraibico entrato in Formula Uno solo grazie al suo enorme talento, da studiare e analizzare per conoscere davvero il profilo del campione.
Il Lewis Hamilton di oggi, all’alba dei suoi trentadue anni, è tatuaggi e jet privati, eventi di moda e amicizie hollywoodiane. Ma è davvero tutto quello che possiamo dire di lui? Un bambino con difficoltà economiche diventato Re dei social e quattro volte campione del mondo?
Ovviamente no. Il carisma c’è, e si vede, ma l’identikit dell’uomo attualmente più veloce del mondo non si può basare su quello che Lewis vuole, e deve, mostrare agli altri.
Perché quando si corre e si combatte, come leoni, saper ringhiare abbastanza forte è un gesto di attacco ma soprattutto di difesa. E proprio quel bambino, circondato da ragazzi con le strade spianate e tutte le porte aperte, ha subito imparato che ringhiare più forte voleva dire farsi valere davvero.
Il padre, suo primo manager, si indebitò a partire dal 1991 per dargli la possibilità di correre sui kart e mostrare al mondo le sue qualità innate.
Per un giovanissimo pieno di talento e di voglia di arrivare come lui farsi notare non è mai stato un problema e infatti all’età di dodici anni Hamilton viene messo sotto contratto dalla squadra di Formula 1 McLaren. La scuderia diretta da Ron Dennis decide infatti di sponsorizzarlo nella scalata attraverso tutte le serie minori, fondamentali per un pilota nella sua formazione. Lewis si deve giocare il tutto per tutto, consapevole del fatto che quelle sponsorizzazioni sono fondamentali in un mondo costoso come quello delle corse: nel 2000 è campione Europeo di Kart Formula A e l’anno successivo esordisce in Formula Renault 2.0 dove conquista il titolo nel 2003. Anche gli anni successivi sono segnati da tanti successi ma il vero punto di svolta arriva nel 2006 quando esordisce nella serie GP2 con la ART Grand Prix sostituendo il campione uscente Nico Rosberg, suo collega e rivale di una vita intera, vincendo il titolo mondiale nell’ultimo appuntamento stagio nale.
È proprio questa vittoria finale a convincere il patron della McLaren Ron Dennis a ingaggiarlo per la stagione successiva in Formula Uno, coronando il sogno di tutta una vita e portandolo finalmente tra i grandi.
Il 2007 fu quindi per lui l’anno del successo: entrò nei paddock più prestigiosi del mondo a testa alta, con l’arroganza di ventiduenne sicuro delle sua capacità e pronto a dimostrarle, apparentemente insensibile alla fama e alla bravura del compagno di squadra, il campione uscente Fernando Alonso.
Quello fu campionato al cardio palma, concluso con un secondo posto nella classifica iridata che ancora oggi ricorda con amarezza. Sfiorò il titolo per un solo punto posizionandosi dietro al ferrarista Kimi Raikkonen dopo tanti successi ma altrettanti problemi tecnici.
Se quell’anno perse il mondiale per un solo punto l’anno dopo riuscì a laurearsi campione del mondo, il più giovane della storia, con un vantaggio proprio di un solo punto.
Una rivincita su una delusione che non aveva accettato ma anche la più grande soddisfazione che quel ragazzo potesse chiedere a se stesso.
Da lì, per Lewis, non ci fu più bisogno di dimostrare qualcosa agli altri ma ancora tantissimo da far vedere a se stesso. La vera sfida del pilota infatti è sempre stata quella vincere le sue ansie e di accettare momenti buoi della sua carriera.
Dopo la vittoria del primo titolo infatti la McLaren non ha potuto dare al pilota la monoposto che avrebbe voluto scatenando nel ragazzo, ancora giovane e da un certo punto di vista inesperto, tutta la rabbia e la frustrazione tipica della sua età ma sicuramente affine al suo carattere.
La ribalta arriva nel 2014 con quello che persiste tutt’ora nel mondo della Formula Uno come il “dominio Mercedes”: vinse, senza rivalità, il titolo in tre diverse stagioni. Nel 2016, unico anno in cui la Mercedes ha coronato campione del mondo un altro pilota, Hamilton si è visto rubare il titolo proprio da quel ragazzino che guidava i kart con lui: Nico Rosberg.
Strade diverse e carriere opposte ma parallele quelle che hanno segnato l’amicizia e la competizione dei due piloti e che li ha fatti incontrare e scontrare fino al ritiro del tedesco dopo la sua vittoria nel 2016.
Il 2017 è stato quindi per Hamilton un anno di ribalta, in cui ha dovuto dimostrare di nuovo la sua supremazia nel mondo della Formula Uno ed è riuscito a farlo mantenendo il controllo e la costanza in una stagione piena di colpi di scena.
La freddezza, unica mancanza nella carriera in un pilota completo come Hamilton, sembra essere stata conquistata negli anni più scuri e brillare adesso insieme al suo immenso talento di bambino prodigio.
Lo stile tutto suo, i team radio lunghissimi e l’ossessione di conoscere ogni dettaglio sulla monoposto e sui suoi avversari coronano la leggenda di un pilota che ama mettersi in mostra e far conoscere al mondo il suo nome.
Ma questo è anche stato l’anno in cui quel bambino mezzo inglese e mezzo caraibico ha preso in mano la corona e si è incoronato Re e Leggenda insieme, insegnando a tutti che non è necessario entrare in un mondo elitario come quello delle corse attraverso porte già aperte.
Il profilo del campione è quindi allo stesso tempo la speranza di un bambino, l’ansia di un uomo, il ruggito di un leone e il talento di una leggenda. Sotto il nome del quattro volte campione del mondo: Lewis Hamilton.